Estetica e vanità nella favola del Nuovo Balletto di Toscana

Philippe Kratz firme le coreografie del nuovo spettacolo “The Red Shoes” interpretato dal Nuovo Balletto di Toscana.

Una favola non più favola, la danza che si trasforma, una realtà non più realtà, ma apparenza e possibilità: The Red Shoes, inserito all’interno degli appuntamenti di Danza in Rete Festival Vicenza – Schio, ha stravolto l’idea classica di fabula, per portare in scena lo sdoppiamento, la perdita, l’identità annullata, la doppiezza, l’ambivalenza insita nel desiderio di oggi. In questa nuova proposta, firmata nell’idea e nelle coreografie da Philippe Kratz, c’è il tentativo di dimostrare che le tematiche, presenti e fondanti la favola Le scarpette rosse di Hans Christian Andersen, non sono rimaste a quel 1845. Si sono traslate anche ai giorni nostri, trasformandosi, assumendo forme e manifestazioni particolari, incarnate magistralmente dai corpi e dalla performance dei dieci ballerini e ballerine della compagnia Nuovo Balletto di Toscana (Alice Catapano, Beatrice Ciattini, Matilde Di Ciolo, Aldo Nolli, Sofia Bonetti, Veronica Galdo, Matteo Capetola, Carmine Catalano, Niccolò Poggini, Paolo Rizzo), diretta da Cristina Bozzolini.

I temi in questione sono la vanità, la voglia di avere e di possedere, il legame con gli oggetti, i paragoni e i giudizi, l’apparenza, la superficialità e la facilità con cui tutti si dissolve, l’ego: il Nuovo Balletto di Toscana prende gli spunti essenziali della favola e li trasporta in un palco che si divide, fisicamente, a metà. Da una parte il mondo reale, dall’altra quello apparente, separati da un lungo telo sottile, che finisce poi per cadere. Predominante è anche il taglio cinematografico tratto dal film omonimo del 1948 di Michael Powell ed Emeric Pressburger. Se da Andersen viene ricavata la sostanza argomentativa, dal cinema vengono attinti le atmosfere scenografiche, l’estetica degli spazi e dei dettagli. Singolari e di grande impatto sono l’effetto ottico del doppio palco, uno dei due sembra quasi fluttuare, la presenza (un altro sdoppiamento) delle due ballerine che interpretano la protagonista (Karen nella fiaba tradizionale) e l’astrattismo di una danza continua, perfetta nei suoi tumulti e nelle sensazioni che intende trasmettere.

È proprio la danza a raccontare e a descrivere il legame tra queste due dimensioni, lo scontro, l’avvicinamento, la tentazione, tra l’essere e l’avere, l’apparire, le sembianze di ciò che potrebbe avvenire. Non c’è trama o scansione lineare, ma un presente frammentato e la proiezione di un futuro imminente, prossimo, che attende di occupare il suo spazio. Questo avvenire è plasmato dalla proiezione di se stessi, dal desiderio nel suo senso ampio: desiderio di appartenenza, di stare e di essere riconosciuti, notati. Karen, nella scrittura di Andersen, sente questa spinta vedendo le scarpette rosse indossate dalla principessa; nello spettacolo (le due ballerine si incontrano, si vedono in uno riflesso a specchio, ballano in modo speculare da una parte e dall’altra) e i protagonisti del Nuovo Balletto di Toscana rappresentano l’umano in generale, diviso tra realtà e immaginazione, mosso da questo desiderio interiore che vuole afferrare la possibilità, il poter essere, il potenziale.

Dai rintocchi iniziali si assiste ad un susseguirsi continuo di scambi, specchi che riflettono, avvicinamenti, separazioni, ripetizioni e distacchi tra i membri del gruppo, un dialogo ininterrotto tra piani opposti che tentano di toccarsi, di togliere ogni distanza, completati e valorizzati da un elemento fondamentale, a partire dal titolo: il colore. La scenografia acquista il suo peso estetico, quella sfumatura decisiva grazie ai colori dominanti, come il grigio e il rosso, e i tanti passaggi di luce, i cambiamenti di tonalità nello spazio, nei costumi e nelle scene.

Ph Studium fotografico Firenze Alessandro Botticelli e Matteo Bertelli

Alla fine, si verifica l’eliminazione, la perdita di questa distinzione tra realtà e apparenza, tra l’io e tutto il resto, i paragoni e i confronti, con l’annullamento finale del sé, della propria identità. Momento decisivo è l’apparizione di un manichino, con addosso un paio di calzature rosse, che si smembra, scomponendosi: viene da riflettere sul senso stesso della ricerca affannosa di qualcosa che poi finisce per scivolare dalle mani, privo di consistenza e di significato. Non manca qui il riferimento all’odierno, al mondo contemporaneo; già nel secolo scorso lo scrittore futurista Italo Tavolato nei suoi Frammenti scrisse “Invidia e vanità sono le radici del benessere sociale.” Ma se questo bene-essere sia davvero reale, effettivo e in che cosa consista davvero, rimane una questione più che mai aperta e attuale e The Red Shoes sviluppa e consegna il suo punto di vista.

Legate al presente non sono solo le tematiche, ma anche le musiche di Pierfrancesco Perrone: pezzi elettronici, contemporanei che connotano The Red Shoes come uno spettacolo proiettato a quel futuro, a quella vena futuristica rintracciabile nella proposta coreografica. Note artefatte e una ricerca approfondita di ritmi e di musicalità per trasformare la danza classica in una rivisitazione astratta e allo stesso tempo personale, dove i confini si dissolvono lasciando il finale aperto, scandito dal conto a voce del tempo e da quel rosso che torna tingere dominante l’atmosfera. Libertà raggiunta o perpetua prigione apparente?

Philippe Kratz realizza, per tutte queste caratteristiche, una fiaba sui generis, che catalizza in un unicum l’aspetto morale e la nota più visiva, estetica. La volontà è quella di lanciare un messaggio forte, anche doloroso attraverso la bellezza, la bravura, la grazia di una compagnia straordinaria, che il Teatro Comunale di Vicenza ben conosce e apprezza da anni.

L’eleganza, la sinuosità, l’equilibrio, la potenza cadenzata, avvolgente di un corpo di ballo giovane, dal talento evidente, in grado di trasmettere un turbine di percezioni con la forza e l’estrema flessibilità del corpo. In coppia, in gruppo, o in assolo, nei vari momenti che scandiscono lo spettacolo, il centro sono stati loro, riflesso dello stato d’animo dell’oggi. 

Danza, musica elettronica, ma anche colore: un quadro, per così dire, completo, dove ogni elemento fa la sua parte. The Red Shoes è una rivisitazione potente che trae dal passato la materia, la rende vivida e attuale nel presente, proiettandola nel futuro: un modo per tornare a considerare l’esperienza e a capire il proprio ruolo in un mondo costretto di immagini che riflettono di tutto, tranne noi stessi.

The Red Shoes – direzione artistica di: Cristina Bozzolini – idea e coreografia: Philippe Kratz – dramaturg: Sarah Ströbele – interpreti: Alice Catapano, Beatrice Ciattini, Veronica Galdo, Matilde Di Ciolo, Sofia Bonetti, Paolo Rizzo, Carmine Catalano, Matteo Capetola, Aldo Nolli, Niccolò Poggini – musica: Pierfrancesco Perrone – luci: Giulia Maria Pastore – costumi: Grace Lyell – Teatro Olimpico di Vicenza 29 febbraio 2024

Immagine di copertina/in evidenza: Ph Studium fotografico Firenze Alessandro Botticelli e Matteo Bertelli

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