Quando la vita comincia in un luogo sperduto dell’America profonda e dimenticata, in quella classe sociale di lavoratori che fanno fatica a tirare avanti, in quella emarginazione che porta alcolismo, violenza e tossicodipendenza, si ha ancora una possibilità di salvarsi, di vivere il sogno americano di una grande e prestigiosa università, di una vita riuscita? Possono la caparbietà dell’amore e la volontà portarci fuori da tutto questo?
L’ultimo film di Ron Howard costringe lo spettatore ad immergersi in tante realtà differenti, tocca temi profondi e diversi, ci obbliga a continui salti temporali, di luogo, di personaggi. È un film variegato, ricco di sfumature e intenso, tocca corde interiori e stimola riflessioni intime.
Elegia Americana è infatti uno spaccato dell’America povera e rurale, di quei paesi che sono solo delle case sparse, anzi, nemmeno case, ma prefabbricati dove non esiste aggregazione, dove la povertà è spesso emarginazione, lavori umili e mal pagati, alcolismo, violenze domestiche e droga.
Il percorso verso una vita diversa, e non solo dal punto di vista economico ma soprattutto da un punto di vista emotivo, è difficile e lo spettatore si trova ad attraversare insieme ai protagonisti fasi della vita, crisi, decisioni difficili e speranze fortemente inseguite.
Gli attori danno tutti un’ottima prova, a partire dalla vecchia nonna, Glenn Close, figura centrale, ruvida ma amorevole, davvero molto ben calata nella parte; la figlia con problemi di droga, allegra, brillante e affascinante ma distruttiva è Amy Adams; i due ragazzi, Haley Bennett e Gabriel Basso, insieme alla sua fidanzata, la deliziosa Freida Pinto. Proprio da loro parte la rinascita, comincia una vita diversa, fatta di affetti veri e stabili e di un riscatto sociale che li porterà definitivamente fuori dall’emarginazione disfunzionale della loro famiglia.
Tratto da un libro del 2016 che racconta la vera storia dell’autore J.D.Vance, Hillbilly Elegy è un caso editoriale di successo e già nel titolo evoca questa America rurale considerata arretrata e violenta. Hillbilly è infatti un termine dispregiativo per definire gli abitanti delle aree rurali e montuose, la periferia del sogno americano, quanto di più opposto si possa immaginare alle luci scintillanti delle grandi città.
Un racconto toccante e commovente, dove i sentimenti sono come piantine fragili e nascoste, spazzate dalla tempesta ma alla fine salvifiche. È una lotta che il protagonista deve combattere con se stesso, sempre in bilico tra il lasciarsi fagocitare da questa realtà di emarginazione o continuare invece a lottare per una vita di successo, facendo i conti con il senso di colpa e di responsabilità verso la madre.
Lo aiuteranno in questo percorso la nonna, che è appunto per tutta l’infanzia l’unica ancora di salvezza, la sorella più grande, felicemente appagata con il fidanzatino dei tempi del liceo diventato suo marito, che gli rivela come la disfunzionalità della loro famiglia venga da lontano, e si tramandi di generazione in generazione, fino a quando qualcuno non avrà la forza di spezzare questa maledizione.
È la storia di un riscatto sociale ma soprattutto di un viaggio verso la salvezza affettiva, viaggio sempre tortuoso, spesso doloroso e che necessita di molta convinzione e volontà. È il sogno americano raggiunto nonostante l’America e le sue miserie, l’emarginazione e l’esclusione, è il ritratto di quei territori sconosciuti, abbandonati e reietti la cui rabbia ha portato all’elezione di Trump, ma è anche la parabola umana dei legami familiari che si intrecciano, che spesso sono lacci che ci impediscono di volare ma talvolta sono trampolini che ci fanno saltare più in alto.