“Divorziati”: il teatro non si fa a teatro

Uno spettacolo itinerante, delocalizzato rispetto al tradizionale spazio teatrale e portato nei salotti dei privati cittadini: “Divorziati” di Gur Koren nasce da esigenze peculiari, inevitabili di fronte alla pandemia in corso, presentandosi fin dalla sua prima rappresentazione a Tel Aviv, in un formato adatto a un pubblico ridotto, a uno spazio intimo.

Presentata sulla piattaforma streaming del Teatro Argot di Roma, la drammaturgia israeliana si colloca nell’ambito di “In Altre Parole” – Rassegna internazionale di drammaturgia contemporanea, per essere interpretato, nella sua versione italiana, da Manuela Mandracchia e Marco Simeoli.

Una scena buia, illuminata solo in corrispondenza dei due leggii che troneggiano al centro dello spazio: sopraggiungono i due attori al suono di un campanello.

Preceduto da un incontro con gli artisti, orientato a chiarirne la genesi, le tematiche e l’articolazione dei significati, il reading ha inizio: si struttura sulla presenza di due voci, si propone di scandagliare le dinamiche di coppia, di interrogarsi sulla metamorfosi a cui essa è continuamente sottoposta.

“Scusa per l’interruzione” – scaturisce da esigenze puramente organizzative, il dialogo tra ex coniugi, ma si tramuta in poco tempo in scontro, discussione serrata entro cui il riemergere di episodi passati appare imprescindibile.

Dubbi genitoriali, confessioni su vecchi amanti: percorrendo pieghe via via diverse, la diatriba procede assumendo in breve tempo l’inedita forma di un racconto fra amici, esortando i presenti a questionare sulla natura di un amore multiforme come le sue esternazioni.

Se la narrazione del sé proposta da ognuno dei personaggi appare diversa, in taluni casi inconciliabile, il nodo sembra risolversi sul finire dell’opera, quando una terza parte- lo spettatore- viene chiamato in causa.

“La pizza voi come la volete?” – bloccato fino a quel momento al di là della quarta parete, il pubblico assiste ora alla sua rottura trovandosi di colpo coinvolto, accolto nel contesto di un racconto ancora in fieri.

Essenziale e sentita, l’interpretazione dei due attori sembra restituire la prospettiva artistica di Koren, quella di un teatro che è specchio in cui il pubblico riflette i problemi identitari della cultura.

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