di Tiziana Bagatella
Dal 15 al 20 Aprile è andato in scena al teatro Marconi– Dive- da un nuovo interessante testo di Roberta Calandra, con la regia di Mariano Lamberti. Lo spettacolo vuole accendere un faro su alcuni aspetti della vita di due icone del cinema mondiale, Marlene Dietrich e Greta Garbo (interpretate rispettivamente da Marit Nissen e Tiziana Sensi) e sulla sconosciuta ma affascinante figura della scrittrice e sceneggiatrice Mercedes de Acosta (a cui dà vita con passione Caterina Gramaglia), ricca ereditiera ispano-americana che faceva parte della élite lesbo-chic di Hollywood. Al vertice di questa comunità Marlene Dietrich e Greta Garbo, delle quali si diceva: in fondo sono dei gentlemen… Negli ambienti lesbici Mercedes si vantava soprattutto delle sue relazioni con la divina Garbo, l’angelo azzurro Dietrich e anche con la rivoluzionaria della danza, Isadora Duncan. Bisogna considerare che negli anni 30 e 40 Hollywood chiudeva un occhio su un’omosessualità “discreta”. Ma torniamo al nostro triangolo saffico (Garbo- Dietrich-Acosta), intorno al quale si muove la figura di Cecil Beaton, il grande fotografo delle dive che il regista Lamberti ha voluto assegnare alla Drag Queen Priscilla, molto nota nel nostro paese per condurre il programma Drag Race.
Diciamo subito che lo spettacolo è abbastanza spiazzante per l’evidente contaminazione tra cinema hollywoodiano anni ’30 e cultura underground newyorkese anni ’80; sì perché il regista Lamberti ispirandosi alle pose plastiche che Dietrich e Garbo usavano fare durante le riprese (la figura della “femme fatale” dell’arte e la letteratura dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, trova sbocco naturale nel cinema. Le dive incarnavano molti temi fondamentali della cultura di massa, come l’aspirazione alla bellezza, alla giovinezza e la ricerca dell’amore…) ha voluto richiamare le ballroom newyorkesi degli anni 80 dove la comunità LGBT si rifugiava per trovare il suo momento di divismo, creando quel ballo – Vogue– reso poi celebre da Madonna, un misto di Street dance, geroglifici e pose delle dive degli anni 30.
All’inizio dello spettacolo vediamo Cecil/Priscilla chiamare sul palco-arena un po’ felliniano ad una ad una le “dive” avvolte da nubi di fumo infernali, invitandole provocatoriamente a fare i conti con le proprie leggende personali, quasi una sorta di docu-film o auto-fiction: “Mi chiamavano la divina Garbo”; “Io sono la prima in Europa ad aver indossato i pantaloni”; “Non posso credere che Vanity Fair abbia detto che io e Marlene appartenevamo al club dei gentiluomini del cuore”. Sotto l’occhio vigile di Cecil Beaton, il loro mentore, le divine parlano della loro vita privata rivelando inediti dettagli sulla loro vita saffica, addirittura di un giovanissimo flirt della Dietrich e la Garbo sul set “La via senza gioia”.
Particolarmente interessanti sono i potenti immaginari cinematografici: dalla Caduta degli Dei di Luchino Visconti- dove Priscilla-Beaton (al secolo Mariano Gallo) fa una riuscita imitazione di Helmut Berger, che a sua volta imita la Dietrich dell’Angelo Azzurro; poi c’è il Portiere di Notte della Cavani con una conturbante scena sadomaso tra Mercedes de Acosta (Caterina Gramaglia) e Marlene Dietrich (Marit Nissen); si passa quindi a Cabaret di Bob Fosse dove il quartetto ironizza sul restrittivo codice Hays (con le efficaci coreografie di Emiliano Pierazzini) che proibiva tutte le scene di sesso, droga e adulterio nel cinema hollywoodiano.
Lo spettacolo prende una piega cupa quando all’improvviso viene bruciata una bandiera americana, e mentre la Dietrich (interpretata con bravura da Marit Nissen) intona il suo famoso brano antibellico Wo die Blumen Sind? (“Dove sono i fiori?”), esplode la bomba atomica, mettendo fine ai sogni di una generazione. Qui Lamberti ci piazza la scritta “Hollywood Ending”, cioè un lieto fine kubrickiano, come quando ne: “Il Dottor Stranamore” esplodono le bombe atomiche al suono di una dolce melodia.
E in questa amara consapevolezza che nemmeno la paura della bomba atomica riesce a mutare l’istinto distruttivo dell’animale umano, giungiamo verso il finale: le luci si abbassano, la mitica scritta “Hollywood” piantata sulle colline della città-simbolo del sogno americano viene consumata da un vento incessante, in parallelo al progressivo decadimento della Garbo che inesorabilmente sembra spegnersi a ogni folata di vento proprio come una candela (una scena ispirata di Tiziana Sensi): “Odio la mia vecchiaia” “Sono ossessionata dallo svanire della mia bellezza”. La necessità di uscire dal mito, di recuperare la sua privacy, uno spiraglio di felicità forse, spinge la Garbo a ritirarsi dalle scene, aveva solo 36 anni.
Il sipario si chiude così sulle dive, per riaprirsi su Mariano-Priscilla-drag che canta in lip-sink Lady of grinning soul di David Bowie, in calze a rete, tacchi a spillo, coperto di tatuaggi e piercing (stile Rocky horror Picture show) e invita di nuovo le attrici ma questa volta ad abbandonare il palcoscenico, a svestire i panni delle dive, per incarnare un’idea di femminilità discreta, moderna, ma non priva di grazia. Ed è proprio lui, non uomo, non donna, essenza della odierna fluidità sessuale, a portare avanti l’immagine di un femminile idealizzato e quasi in un rito sacrificale, ad assumere su di sé il sogno collettivo.
Belle le atmosfere create dalle luci di Antonio Gambone, le musiche del giovane Andrea Albanese con contaminazioni jazz e musica elettronica; i costumi ricchi e filologici di Valeria Ricca, e per finire voglio citare i manifesti e la efficace campagna di comunicazione di Andrea Germoleo. Alcune fragilità dovute sostanzialmente allo stile epistolare-letterario del testo, sono state superate dalla ricchezza delle suggestioni che il regista Mariano Lamberti ha saputo innestare nello spettacolo. Il pubblico numeroso ha accolto con fragorosi applausi le tre interpreti, Marit Nissen, Caterina Gramaglia e Tiziana Sensi con un tributo particolare alla nuova icona LGBT, Priscilla.