Dematté e Sinisi portano in scena l’eternità di Galileo

Al Vascello una fantastica interpretazione di Luca Lazzareschi nella convincente regia di De Rosa e Rifici

«Occorre intendere il linguaggio per conoscere a fondo un argomento». Forse è proprio questa la chiave di lettura per capire la devastante forza dell’ignoranza che per secoli ha oscurato il mondo, e che continua ancora a incombere sul presente e a minacciare il futuro. L’insegnamento cattolico e apostolico, impostato su un linguaggio esclusivamente clericale, cioè senza spiragli, fu l’arma più diabolica per tenere in pugno l’intera umanità. Oggi questo stesso principio suona come un avvertimento che ci arriva da lontano. Fu Galileo Galilei, infatti, a rispolverare nei primi anni del Seicento questa dottrina di sopravvivenza che Socrate, Aristotele e Pitagora divulgarono, molti secoli prima, alla civiltà nascente come luce per l’intelletto. Galileo ebbe il coraggio di restituire luminosità al libero pensiero del mondo occidentale annebbiato dal clima repressivo e censorio di Santa Romana Chiesa che aveva appena condannato al rogo Giordano Bruno: sacrificio di una mente eccelsa che probabilmente indicò a Galileo che era giunto il tempo in cui nessuno più avrebbe potuto riportare l’intelletto umano nell’oscurità del dogma.

Durante la pandemia (quella del 2020), comprendendo bene il linguaggio del momento, Angela Demattè e Fabrizio Sinisi, ciascuno per conto suo, hanno avuto la stessa illuminazione: approfondire teatralmente un discorso sulla scienza. Venuti a conoscenza delle simili reciproche intensioni, di comune accordo, invogliati dall’identico sospetto, hanno deciso di lavorare a quattro mani per scongiurare, dal palcoscenico, il pericolo dell’ennesimo blackout intellettivo. Coadiuvati da Simona Gonella, hanno scritto insieme Galileo processo. Un testo sensazionale. Un faro acceso sul passato che riverbera fino ai nostri giorni la confusione che genera l’umanità al cospetto dello scontro tra il male e il bene; senza nemmeno saper discernere l’uno dall’altro.

Roberta Ricciardi e Luca Lazzareschi Foto © Luca Del Pia

Sul palcoscenico Galileo comincia a dialogare, con il tipico linguaggio secentesco, delle sue scoperte, della sua scienza, delle sue congetture sull’universo che sconvolsero il mondo d’allora e che condussero lui sul banco degli imputati con l’accusa di eresia. L’inquisitore lo obbliga all’abiura delle sue opinioni e Galileo così si salva dal rogo. Subito dopo però lo rivediamo catapultato nel XXI secolo mentre cerca di convincere Angela, giovane ricercatrice scientifica (colei che porta il nome dell’autrice), che la luce della scienza che lei intravede, anche se ancora non identifica, è la stessa che illuminò gli intelletti umani grazie allo studio universale del pisano che ribaltava definitivamente la teoria tolemaica. È sempre una questione di linguaggio: e infatti Galileo parla la lingua moderna di Angela. Solo così i due possono intendersi. Ma quando Angela perde l’affetto della madre è pronta a rinnegare la scienza: accusa Galileo che vorrebbe darle spiegazioni scientifiche sulla vita e sulla morte, mentre lei, in quell’istante, cerca soltanto conforto nella fede. È l’ennesima abiura nel momento della debolezza.

Indebolire uno spirito è il primo passo per renderlo cieco. E dolori e difficoltà aiutano a creare il buio attorno a noi. Tuttavia la fede scientifica di Galileo è granitica: il numero aristotelico è l’ente supremo, la matematica è la verità assoluta. Con questi principi esatti sa che la macchina della scienza, nata dal suo occhio allungato nell’universo (il cannocchiale che scruta l’infinito), non si può fermare. Il movimento, una volta avviato è inarrestabile. Oggi lo chiamiamo progresso ed è un misto di forze che si dibattono tra il bene e il male.

Galileo è interpretato magnificamente da Luca Lazzareschi, attore saldo, costante e assai convincente. Angela è Catherine Bertoni de Laet, impegnata in scena anche come musicista al pianoforte, capace di sostenere con armonia qualche momento di fragilità. Milvia Marigliano è credibile sia come madre di Angela che interpreta appieno, sia come Inquisitore, personaggio a cui giustamente preferisce restituire soltanto la parola più che il ruolo. Efficaci anche le partecipazioni di Giovanni Drago (Benedetto), Roberta Ricciardi (Virginia) e Isacco Venturini, l’eterno ribelle che cerca di fermare la storia, l’evoluzione, il progresso, ma sempre cade deriso, calpestato, ucciso da quelle stesse autorità che nel 1600 bruciarono Bruno. Segno che la storia si ripete, mentre la scienza evolve.

Luca Lazzareschi e Catherine Bertoni de Laet Foto © Masiar Pasquali

Anche la regia è a quattro mani. Andrea De Rosa e Carmelo Rifici firmano insieme un allestimento di pregevole fattura che si condensa essenzialmente nell’apparato scenico, curato da Daniele Spanò, che ne esalta la teatralità mettendo a nudo corde e tiri, e preparando terreni seminati e brulli che suggeriscono la perpetua dicotomia tra la vita (l’orto) e la morte (la fossa). La terra in scena diventa anche l’elemento di contrasto con il cielo osservato da Galileo: l’obiettivo infinito dell’intelletto umano, rispetto al finito che è sotto i nostri piedi. C’è un momento – ma forse è solo una sensazione – in cui il viso chino dell’osservatore moderno lascia intuire che stia spiando un cellulare (che non c’è in scena) e che quello sguardo ad occhi bassi non è rivolto al finito, ma concentrato sull’infinito matematico ricalcolato dal mondo virtuale racchiuso in un computer palmare. Internet, la rete, il web: un altro tipo di linguaggio che bisognerebbe conoscere a fondo per comprenderne l’argomento.

L’insieme dei costumi di epoche differenti premiano l’inventiva di Margherita Baldoni, la quale con semplicità riesce a equilibrare e a distinguere i differenti stili.

Nell’impianto costruito da Rifici e De Rosa è contemplato l’uso del microfono, necessario per realizzare alcuni effetti sonori, tuttavia, al principio, si fatica a individuare l’attore che pronuncia le parole dette che provengono tutte dalle casse amplificate. Poi ci si abitua alle differenti voci ed è più facile seguire le fonti del dialogo, però il microfono, benché faccia parte di una certa evoluzione scientifica per cui Galileo stesso l’avrebbe apprezzato, resta l’unico elemento inadatto al bel teatro come questo apprezzato ed applaudito con entusiasmo.

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Processo Galileo di Angela Demattè e Fabrizio Sinisi; Simona Gonella (dramaturg). Regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici. Scene Daniele Spanò. Costumi Margherita Baldoni. Disegno luci Pasquale Mari. Con Luca Lazzareschi (Galileo), Milvia Marigliano (l’inquisitore e la madre), Catherine Bertoni de Laet (Angela), Giovanni Drago (Benedetto), Roberta Ricciardi (Virginia), Isacco Venturini (il ribelle). Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale. Al Teatro Vascello, fino al 27 gennaio

Foto di copertina: «Processo Galileo» regia di Andrea De Rosa, Carmelo Rifici Foto © Masiar Pasquali