DEEP PURPLE live a Roma.

La leggendaria band britannica sceglie non a caso Roma come prima tappa del “The Whoosh tour” lo scorso 2 luglio, in onore del loro nuovo album. La città eterna per una band eterna, che ha fatto la storia della musica rock, anticipando i tempi ed inventando suoni prima di allora mai sperimentati.
Un turbinio di emozioni per il pubblico che, nella cornice dello splendido Auditorium Parco della Musica, ha ascoltato, cantato, gioito e pianto dal tramonto a sera tardi.
Nonostante la veneranda età di alcuni dei membri storici tra cui i 76 anni del frontman Ian Gillan e del bassista Roger Glover, ed i 73 dello scatenato batterista Ian Paice.


La sorprendente performance degli ultrasettantenni con la sindrome di Peter Pan che non hanno intenzione di rallentare nè tantomeno di smettere con l’hard rock, è un forte messaggio che viene mandato a tutte le generazioni poichè se la fiamma della passione è ancora viva, non c’è età che possa arginare il travolgente tsunami dell’emozione.


La line up dei Deep Purple non è più da anni la formazione chiamata Mark II, con il cantante Ian Gillan, il chitarrista Ritchie Blackmore, il tastierista John Lord, il bassista Roger Glover e il batterista Ian Paice. Don Airey – autore per altro di assoli encomiastici come Arrivederci Roma e Roma non fa la stupida stasera – è subentrato da anni con grande successo nel ruolo del compianto John Lord, mentre oggi il nordirlandese Simon McBride è il degno sostituto di Steve Morse – fermatosi dopo 30 anni per accudire la moglie malata di cancro -, a sua volta erede del leggendario Ritchie Blackmore, fra i più celebri e influenti chitarristi della storia del rock.


La scaletta recita un mix tra le novità del nuovo album e le attesissime hits dal vivo, vera specialità di casa Purple – a sostegno di ciò Lars Ulrich, storico batterista dei Metallica, descrive Made in Japan come il miglior concerto live di sempre -.


L’esordio del concerto non può essere migliore di così: sganciano immediatamente la bomba con Highway Star ed infiammano la platea. Gente di tutte le età, dai nostalgici degli anni ’70, ai più giovani heavy metal interessati alla genesi del hard rock, fino ai bambini catechizzati alla musica cosiddetta “vera” per gli amanti della tecnica e del suono.
Continuano il loro show, attraverso le grandi e commoventi When a Blind Man Cries, Lazy, Perfect Strangers ed Hush senza apparenti soste, semmai con assoli di chitarra, batteria o tastiera ma hanno tenuto il campo vigorosamente oggi come allora. Boato surreale per Smoke on the Water con allegata la doverosa standing ovation per un pezzo che ha pochi eguali in fatto di leggendarietà.

Note dolenti riguardano l’assenza in scaletta di Child in Time e Strange Kind of Woman, giustificabili al netto dell’età avanzante e quegli acuti irripetibili che hanno fatto sognare trasversalmente intere generazioni.

Una serata romana piena di emozioni e ricordi come successo nello specifico con un uomo di fianco a me di poco più di sessant’anni in procinto di raccontare ai propri figli la sua esperienza e la chiusura di un ciclo aperto 45 anni fa, mentre scavalcava senza biglietto la cancellata del PalaEur, ora PalaLottomatica, con la band britannica, in silenzioso consenso, ad attendere che entrassero tutti, paganti e non, per cominciare il concerto.