Davidson: Pasolini, danza e poesia

Un incontro tra opposti: “Davidson” al Teatro Comunale di Vicenza

C’erano una volta un ragazzo e un maestro. Una storia lasciata a metà, ora rivive nei passi di danza grazie ad uno spettacolo semplice, diretto, immediato. Balletto Civile, con il suo Davidson, al Teatro Comunale di Vicenza, ha riportato sul palco la vicenda dei due personaggi chiave dell’opera Il padre selvaggio di Pier Paolo Pasolini.

@ballettocivile

Liberamente ispirato alla sceneggiatura postuma incompleta dello scrittore, questo spettacolo si inserisce all’interno delle proposte del Danza in Rete Festival, che ogni anno porta a Vicenza eventi e momenti di pura bellezza danzata.

Al centro del palco, circondati da canne piumate e da un paio di banchi scolastici, Maurizio Camilli e Osayi Osawaru, rispettivamente il maestro e l’allievo, si conoscono e avviano un dialogo basato sulle contrapposizioni e le diverse modalità di intendere i rapporti umani, la vita in generale. I due sono opposti, rappresentano due poli magnetici che, a forze inverse, si attraggono e si respingono. 

Il maestro è anticonformista, tosto, deciso, cerca in Davidson, un giovane ragazzo nato in Italia ma di origini liberiane, talentuoso ed energico, un appiglio, un punto in cui far breccia e scardinare le sue convinzioni. Le convinzioni di oggi. Davidson è italiano, mangia “la pizza, il gelato, gli spaghetti con il sugo” ma gli viene detto “non è che se un topo nasce in una stalla, allora può definirsi un cavallo”: emergono via via, nelle parole dette, nelle domande urlate, la questione del razzismo, del neocolonialismo, la subordinazione, il concetto di inferiorità ed esclusione. Nella rappresentazione c’è la forza poetica e politica di Pasolini, gli anni Sessanta vissuti, non così lontani poi dai nostri.

Il maestro in Davidson percepisce la passione poetica, fremente, “la poesia la puoi trovare qui”: nasce e si sviluppa il conflitto tra i due (“Non ti fidi di me? Perché?”, “Tu sei il mio problema”), quella ricerca di verità e di confronto, resa evidente, in modo particolare, dalla danza. Il giovane è impulso, tormento, forza, vitalità, lucidità, sulle note di brani rap come That’s O.K. di Jonwayne Mask Off di Future. È la realtà sfatata, disillusa, nuda e cruda nelle parole ritmate che si scontra e si amalgama, nel corpo e nei passi, con le convinzioni, la più lenta andatura, la consapevolezza del maestro.

Maurizio Camilli e Osayi Osawaru lottano sul palco, fanno emergere le loro differenze: un campo magnetico di danza e parole, di momenti più statici e altri più concitati, vibranti, illuminati dalla croce appesa sul fondale. L’insegnante cerca di abbattere le idee del ragazzo, fa leva sulla sua intelligenza acuta, sul suo disincanto per instillargli la voglia e il coraggio di “tirar fuori”, di andare oltre.

Balletto Civile porta di fatto uno scontro di e tra età, idee, passi, modi di intendere, culture, opposizioni che appaiono inconciliabili, irrisolvibili. Il conflitto si scopre, però, incontro. Sia nella trama narrata sia a livello visivo, coreografico. Questo è l’esito finale.

Quello proposto è un lavoro capace di fare sintesi grazie alla sintonia dei ballerini: letteratura, ballo, immaginazione, azione, musica; da sottolineare il fatto che Osayi Osawaru non ha un passato accademico di danza, ma è un autodidatta, alla sua seconda replica. Davidson è una composizione dove la bellezza si vede nel corpo, nella danza, raccolta nell’espressione “la poesia è dentro di te”. 

Già. Perché al termine della lotta tutto diventa trasmissione, crescita, insegnamento per entrambi, un punto di arrivo e di partenza allo stesso tempo. Le posizioni trovano un asset, un arricchimento reciproco. Alla fine, Davidson “compone” la sua poesia, recitando Profezia di Pasolini.

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“Foresta. Esterno. Notte. Dissolvenza. Buio”, è il finale. C’erano una volta, ma grazie a Balletto Civile questi due protagonisti ci sono e dimostrano come tutto sia ispirazione, corpo, forza, scambio, spirito. Pur abitando spazi lontani. Le parole finali della coreografa Michela Lucenti ben racchiudono il senso dello spettacolo e della compagnia stessa:” la poesia, per noi è un dialogo (…). La poesia è una possibilità di comunicazione molto alta e la danza ha naturalmente delle connessioni forti con il linguaggio poetico. Significa tendere ad una possibilità di dialogo anche spirituale. Una modalità di dono e di donarsi, poiché il poeta si espone e lo stesso fa il danzatore. Attraverso la danza c’è una testimonianza fatta attraverso il proprio corpo che cambia, invecchia. Diventa una comunicazione spirituale altra.” 

Davidson – liberamente tratto dalla sceneggiatura ll Padre Selvaggio di P. P. Pasolini – concept e drammaturgia Maurizio Camilli – coreografia Michela Lucenti – con Maurizio Camilli e Osayi Osawaru – disegno luci Vincenzo De Angelis – disegno sonoro Andrea Gianessi – assistente alla regia Ambra Chiarello – assistente alla coreografia Francesco Collavino – collaborazione produttiva Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Balletto Civile – con il sostegno di Ater Circuito e Ick Amsterdam – Teatro Comunale di Vicenza – 15 febbraio 2025

Immagine di copertina / in evidenza: @ballettocivile