Dai biopic emozionanti ai thriller avvincenti passando per il mito del Piper Club

Passato e il futuro del cinema a Berlino, con Ethan Hawke uno dei grandi protagonisti della rassegna cinematografica tedesca in grande spolvero

La Berlinale, avvolta dalla neve, si scalda con gli applausi del pubblico e della critica con due film di rilievo, a partire da Blue Moon, scritto da Robert Kaplow, diretto da Richard Linklater e interpretato da Ethan Hawke, accanto a Andrew Scott e Margaret Qualley.

Jessica Chastain. e Fabio Testi

Il film, un biopic sulla vita del leggendario paroliere di Broadway Lorenz Hart, è ambientato a New York il 31 marzo 1943, nella celebre cornice del Sands, il ristorante degli artisti di Broadway. Qui, dopo la prima di un musical, si festeggia il successo di Oklahoma!, l’attesissimo spettacolo che segna il debutto di Richard Rodgers interpretato da Andrew Scott senza il suo storico collaboratore. Per la prima volta, infatti, Rodgers ha scritto un musical senza Lorenz Hart, interpretato da un superlativo Ethan Hawke.

La narrazione si concentra sugli ultimi anni di Hart, mettendo in luce il momento cruciale in cui la sua dipendenza dall’alcol lo allontana da Rodgers, portando quest’ultimo a formare un nuovo sodalizio con Oscar Hammerstein. Prima della loro separazione, Rodgers e Hart avevano firmato ben 28 musical, tra cui On Your Toes e Pal Joey, e dato vita a classici intramontabili come Blue MoonThe Lady Is a Tramp e My Funny Valentine. Pochi mesi dopo la rottura del duo, Hart morì prematuramente, lasciando un’eredità musicale indelebile.

Il film è un’opera raffinata, degna di un testo teatrale alla Pinter, in cui si intrecciano passioni, musica e retroscena inediti. Girato quasi interamente in un unico interno, Blue Moon si distingue per l’uso magistrale della macchina da presa, che si muove tra piani sequenza e primi piani intensi, esaltando dialoghi brillanti e un’ironia sofisticata. Il cast brilla, a partire da Ethan Hawke, che regala una performance trascinante, capace di strappare applausi a scena aperta.

Il secondo film visto e’ dedicato ai sogni, si tratta infatti di Dream,  una bellissima storia di vita, di libertà e  di amore diretto dal messicano Michel Franco e interpretato dal ballerino dell’American Ballett Isaac Hernandez e dal premio Oscar 2022 per Gli occhi di Tammy Faye, Jessica Chastain.

La storia fra un ballerino messicano appena entrato fra mille difficoltà di nascosto in America e la bella rossa Jessica, una ricca mondana filantropa della buona società che si innamora di lui.   Dream è un esempio di cinema americano indipendente e a basso budget e’ sopratutto un film politico – «Un film che parla al cuore di chi ha bisogno», ha detto Jessica e di credere ancora nel sogno americano!!!!

E alla Berlinale è  arrivata anche un pò di Italia, assente dal concorso, dopo Luca Marinelli che vive ormai stabilmente a Berlino, con un altro simbolo del nostro cinema degli anni d’oro, Fabio Testi che debutta a 83 primavere, portate con estrema disinvoltura in coppia con la portoghese Maria De Medeiros,  protagonisti del film Reflet dans un diamant mort, diretto dai francesi Hélène Cattet e Bruno Forzani,  dove l’affascinate  Fabio  interpreta un ex agente segreto che si gode la sua pensione in un piccolo hotel della Costa Azzurra fino a quando scopre che la sua avvenente vicina di stanza è  scomparsa.

Complice le riprese nella splendida cornice cara ai gialli con Cary Grant e Grace Kelly, questo Reflet dans un diamant mort,  ha detto Fabio Testi, è un thriller pieno di sorprese e non è certo uno 007 di seri B, anche se quando venne il regista a trovarmi a Roma mi disse che gli ricordavo un po Sean Connery, ma che in effetti si ispirava a  un mio film Road to nowhere di Monte Hellman che fu presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2010.

Se in questi giorni fosse stato a Roma, Fabio Testi non avrebbe certo mancato alla grande festa per i 60 anni del celebre Piper Club di via Tagliamento. Il leggendario locale, che conquistò bellezze come Ursula Andress – grande amore di Testi – nacque il 17 febbraio 1965 in un vecchio garage, grazie all’intuizione di tre amici legati al mondo del cinema, della televisione e della musica: Giancarlo Bornigia, Alberigo Crocetta e Piergaetano Tornielli.

La loro idea era quella di creare un club dedicato alle nuove stelle emergenti dello spettacolo e della moda, in piena sintonia con lo spirito della Beat Generation. Il Piper rivoluzionò la vita notturna romana, mandando in soffitta i locali più tradizionali della Dolce Vita felliniana, come il Club 84 – frequentato anche da John Lennon e Ringo Starr durante la loro prima tournée in Italia con i Beatles –, La Rupe Tarpea o, a Portoferraio, il famoso Club 64.

Sin dall’inizio, il Piper si impose come una vera e propria fucina di talenti. Qui si esibirono giovani artisti destinati a diventare icone della musica italiana, come Renato Zero, Patty Pravo, Caterina Caselli e gruppi come i Rockers, l’Equipe 84 e i Nomadi. Ma il locale era anche un punto d’incontro per giovanissime modelle attratte dal cinema – come Mita Medici, grande amore di Franco Califano –, intellettuali, personaggi del jet set e discografici della potente RCA, sempre a caccia di nuove promesse.

Sul palco del Piper debuttarono anche future leggende del rock internazionale, come i Pink Floyd e i Genesis, mentre a pochi passi, al Cinema Adriano, i Beatles facevano il loro storico esordio italiano.

Scendendo le scale di quell’ex garage, si aveva la sensazione di vedere l’Italia cambiare sotto i propri occhi. In quella bolgia gioiosa si respirava aria di rivoluzione, tra volti destinati a diventare le nuove stelle dello spettacolo: da Loredana Bertè a Mia Martini, da Roberto D’Agostino a Mina – che lì girò anche alcuni spot pubblicitari – fino a Lucio Dalla e ai Pooh e naturalmente la bambola per antonomasia, la platinata Nicoletta Strambelli in arte Patty Pravo.

Per celebrare il 60° compleanno del Piper Club, si è tenuta una grande festa accompagnata dall’uscita di un libro divertente e ricco di foto e curiosità, scritto dal DJ romano Corrado Rizza.

Il Piper club di Roma, tempio della beat generation, compie 60 anni
Il Piper negli anni ’60

Il Piper fu un vero laboratorio di idee, capace di attrarre anche talenti di provincia come Renzo Arbore, e paragonabile alla celebre Factory di Andy Warhol, dove nascevano feste all’avanguardia e nuove tendenze culturali. Negli anni ruggenti in cui Parigi e Londra dettavano il passo, Roma non era da meno: il Piper incarnava perfettamente quell’energia creativa, trasformando sogni e voglia di vivere in realtà.