Da maschera a maschera: Family Game in VR

Il termine ‘metaverso‘ che già da diverso tempo permea gli ambienti della new economy inizia sempre più ad affacciarsi nel contesto culturale, anche a fronte delle modifiche strutturali del sistema spettacolo resesi necessarie per far fronte alla situazione pandemica; contromisura decisiva che ha visto il coinvolgimento, prima di tutto, delle istituzioni attraverso l’assegnazione di contributi volti alla trasformazione digitale.

Quella del VR (Realtà Virtuale) è un’esperienza del tutto particolare ma – lo si dirà subito – non priva di ‘residui’, quesiti aperti, un’esperienza che nella drammaturgia di “Family Game” di Mimosa Campironi assume su di sé tutta la problematicità, per certi versi molto intrigante, del passaggio dalla più tradizionale maschera della finzione dell’io che cela e protegge se stesso a quella del virtuale che, nella sua natura intimamente didascalica, si fa oggetto reale. Ed è proprio questo tratto strutturalmente didascalico del mezzo virtuale a condannare a una sporadica fragilità la drammaturgia di Campironi che vive, altrimenti, di slanci particolarmente felici.

Dispiegata intorno al dramma esistenziale di un io che non trova più la via di casa, questa è la storia di un uomo dai tratti assai ambigui, è la storia di uno scambio di identità che dona ancora speranza, in cui l’intima confessione dei personaggi rivolta allo spettatore, pur sempre nella sua inconsistenza fisica, aggancia il pubblico, lo coinvolge fino in fondo senza lasciarselo più scappare. Alessandro Averone riesce nel complesso tentativo di penetrare nella mente – e non già soltanto nell’animo come sede dell’emotività – di chi assiste alla sua performance poliedrica e versatile che salta da un personaggio all’altro, da un linguaggio all’altro e, persino, da un genere o un dialetto all’altro. In fondo, questo altro universo che vediamo contenuto nel termine ‘metaverso’ gioca con la mente dello spettatore non meno che con quella dell’artista, inverando l’inquietante parabola della reificazione del soggetto a cui la tecnologia pur sempre ci condanna, persino nel momento in cui crediamo di governarla.

Infatti, la genesi del termine ‘metaverso‘ che, come sappiamo, ha una storia recente e, in larga misura, ancora tutta da scrivere (direi, in buona parte sulle nostre o alle nostre spalle) trae la sua origine non dal contesto industriale come si potrebbe essere indotti a credere, bensì, ancora un a volta, dalla letteratura, ovvero dal romanzo cyberpunk “Snow crash” di Neal Stephenson del 1992. Rivoluzionario nella terminologia, l’immaginario di quest’opera rimane ancora completamente ancorato a un contesto passato, relegato com’è in un mondo parallelo che non fa altro che riprodurre lo schema punitivo infernale, in cui questo altrove del metaverso non oltrepassa mai se stesso e finisce per essere regolato da veri e propri demoni.

L’obiettivo che ci si propone con “Family Game” in VR è, invece, assai più complesso, perché mira sì a quel ‘metà’ greco, ma senza indugiare nella speranza di un risalimento verso la verità, resta imbrigliato nelle sabbie mobili di una crisi identitaria collettiva, generazionale, dilagante. Campironi proponendo un disegno registico organico e coerente, costruito minuziosamente intorno alla figura di Averone, gioca con l’elemento luminoso ricreando un vortice distopico e facendo di quello sonoro una vera e propria drammaturgia. È così gettata dentro la testualità finzionale la realtà nella sua inquietante inconsistenza, quasi con la pretesa di rispondere con toni postmoderni ai grandi della letteratura novecentesca che, primo fra tutti Pirandello, si sono interrogati sul tema dell’identità e della sua crisi contemporanea.

Ci sarà, in definitiva, un giorno in cui senza rendercene conto sentiremo tutt’a un tratto la potenza degli effetti di ciò che, a poco a poco, abbiamo ceduto a questo universo altro e chi può dire se, alla fine, “vivere l’erranza con un atteggiamento diverso” sarà ancora possibile?

FAMILY GAME – Teatro Argot dal 19 al 22 dicembre

testo e regia di Mimosa Campironi

con Alessandro Averone
disegno luci Massimo Galardini
scene e costumi Paola Castrignanò
make up artist Bruna Calvaresi
musiche Bertrand

produzione Teatro Metastasio di Prato e 369gradi

Testo selezionato da Italian and American Playwrights Project 2020/22

ringraziamenti FiloQ, Davide Toffolo, CTB – Centro Teatrale Bresciano, Amedeo Guarnieri