È possibile rimuovere il dolore? Come una piccola ferita momentanea, il desiderio più comune di tutti noi si concretizza nel sogno di cancellare, obliare, allontanare il dolore. La psichiatria – disciplina coscientemente e potentemente ridicolizzata in questo spettacolo – è solo la più recente delle soluzioni, elaborate dal genere umano al fine di combattere il dolore. Non si intende in alcun modo sminuire, in questa sede, lo straordinario portato culturale e sociale di tale scienza. E nondimeno, ciò che viene messo in scena è lo spettacolo inquietante di un’umanità dilaniata dall’indifferenza.
Difronte alle tragedie più estreme, difronte ai corpi lacerati dalla sofferenza – trasmessa allo spettatore, non a caso, attraverso l’immagine della crocifissione – si oppone con violenza la cura rigida e glaciale (efficacemente veicolata dalla regia), prodotta dalla cultura occidentale: non è la via della commozione, del tendere la mano all’altro, bensì l’esclusione, l’osservazione dall’alto.
A modo loro, secondo canoni a volte poco convenzionali – ma senza mai abbandonarsi a eccessivi sentimentalismi, grazie a un oculato sforzo registico – le due protagoniste femminili (Eleonora Notaro e Laura Pannia) ci accompagnano tra le macerie emotive di ciò che rimane del loro individuale naufragio esistenziale. Nel bisogno incessante di realismo, che contraddistingue la nostra società, la scelta drammaturgica risulta vincente, proprio quando si allontana da quest’ultimo, facendosi fotografia chiaroscurale della realtà. Lo spettacolo si articola in “quadri”, ovvero in un intreccio di episodi narrativi, lontani nel tempo e nei contenuti, che tuttavia esprimono qualcosa di noto a tutti: l’indifferenza dell’altro, la caduta di ogni ideologia, la necessità di aggrapparsi disperatamente alle poche certezze o speranze rimaste.
Il quadro principale intorno a cui si svolge lo spettacolo è ambientato in un ospedale psichiatrico. Mentre gli altri pazienti sono evocati, studiati, a volte ridicolizzati, sulla scena rimangono solo due figure. La faticosissima postura a cui sono costrette le due donne non lascia dubbi: sono due martiri. Dall’altra parte della cortina, l’ombra di un dittatore (Jacopo Cinque), che forse troppo facilmente evoca volti noti della politica attuale e che, nondimeno, fa sì che lo spettatore si abbandoni a un’amara, ma piacevolissima, ilarità.
Altri “quadri narrativi” s’intrecciano nella storia, come ad esempio i due viaggiatori, che cercano la speranza in un deserto post-apocalittico o gli dei-marziani che giocano impunemente con le sorti dell’umanità. In definitiva, lo spettacolo affronta temi di assoluta centralità – come ad esempio l’anoressia, l’annientamento psico-emotivo, la vendetta – senza la pretesa di fornire allo spettatore soluzioni semplicistiche, bensì coinvolgendoci al punto di obbligarci a un duro confronto con noi stessi.
In scena fino a domenica 11 ottobre, D.N.A. è uno spettacolo scritto da Anton Giulio Calenda con la regia Alessandro Di Murro , da un progetto del Gruppo della Creta con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Maria Lomurno, Eleonora Notaro, Laura Pannia.