Creare spazio, unire spazi: Il segno indelebile di Luciano Damiani

Quando la scenografia diventa regia, e avvolge il pubblico

di Marco Buzzi Maresca

Che si parta dalla competizione col cinema, dalla semiologia, dalle provocazioni di Carmelo Bene o del terzo teatro di Barba, da Artaud o Grotowski, sempre resta che il testo a teatro non è il testo del drammaturgo: il testo è lo spettacolo, e lo spettacolo è presenza, è un evento che muove spazi, fisici e/o mentali. E se in alcuni casi il testo in quanto tale sembra quasi scomparire risucchiato dalla macchina attoriale, in altri comunque è soggetto alle trasformazioni che regia e scenografia attuano nel renderlo vivo e performarlo criticamente. E se la regia crea spazi mentali, la scenografia mette lo spazio in azione, e nel gestire la presenza, muove le dinamiche tra scena e pubblico, tra mente e sguardo, rendendo più o meno consapevolmente attore attivo dell’esperienza il pubblico. In Italia due sono i grandi registi della rivoluzione del teatro di regia, Strehler e Ronconi, ma spesso passa in secondo piano quanto di questa rivoluzione sia stato (con entrambi) co-autore lo scenografo Luciano Damiani (1923-2007) di recente celebrato  a Roma con la mostra spettacolo Luciano Damiani:100 anni di teatro (Teatro di documenti, 9-20.12.2023).

L’evento tra l’altro è nel suo farsi una doppia celebrazione, essendo il Teatro di documenti a sua volta una macchina scenico spaziale voluta e creata da Damiani a testaccio nel 1988, insieme a Luca Ronconi e Giuseppe Sinopoli, anche per reagire alla delusione di un mai nato spazio teatrale d’avanguardia a Trieste, di cui era stato incaricato. Il Teatro dei documenti – per chi non lo conoscesse – è una lanterna magica di spazi che come una conchiglia delle meraviglie si sprofonda nelle viscere della terra, tra corridoi corridoietti e improvvise aperture a grotta, a navata, a cella, a loro volta traforate dalla baroccheria di nascoste macchine sceniche, botole, passaggi nascosti.

E in essi ci conduce – per celebrare questo sognatore dello spazio – la sua ventennale collaboratrice, Carla Ceravolo, direttrice artistica del teatro, nonché a sua volta scenografa di grande valore ed esperienza. Un atto d’amore e un atto dovuto.

L’idea è quella di illustrare l’evoluzione della ricerca di Damiani attraverso la spiegazione dei suoi bozzetti, fotografati e ingranditi da Renato Ferrero, bozzetti che, essendo la traccia di passati spettacoli, fanno poi, a tratti, da trampolino di lancio di alcuni cammei recitativi tratti dagli spettacoli stessi, vuoi di prosa vuoi lirici. Un’idea che ravviva il discorso, ma che, pur piacevole, e affidata ad artisti di pregio, resta un po’ una giustapposizione artificiale, giusto per alleggerire la lezione. Ma degli interpreti parleremo poi. Il focus vero restano Damiani ed il suo percorso.

Damiani, che alla fine avrà anche esperienze di regia, prima che scenografo è un pittore, formatosi a Bologna con Morandi, e con la sua concezione lirica della forma. Ma è un pittore che studia, e che da quando Strehler lo coopta alla scenografia, da subito sfonda la superficie luminosa morandiana cimentandosi con la lezione spaziale degli artisti rinascimentali, dalle macchinerie leonardesche alla prospettiva della pittura fiorentina.

Ed è così una continua riflessione sulle regole della percezione, a cavallo tra geometria luce e sfondamenti. Il suo percorso, così come ce lo presenta Carla Ceravolo, si può articolare in sette astrazioni, cioè sette principi formali che man mano diventano il cardine del suo operare. Si comincia con l’angolo diedro, che segmenta le tre direttrici dello spazio, e le riproduce in infinite sottovarianti all’interno della scena, moltiplicando spazi e direzioni. Poi la riflessione va sui laterali di scena, dove lavora a chiudere prima la visione solo a destra, per aprirla a sinistra (che nella percezione apre alla fantasia), e poi sui due lati, per cominciare uno sfondamento in profondità. Lo spazio a questo punto si rarefa in luce, aprendo all’infinito e in verticale, al fondo scena. In tal senso di grande poesia il fondale delle Baruffe chiozzotte di Goldoni (Strehler, Milano 1963).

Ma qui comincia davvero il grande salto, perché lo sfondamento in profondità apre anche al salto in avanti, verso la platea. Non solo Damiani è il primo a mettere le scalette per scendere in platea, ma comincia a elaborare macchinerie, riprendendo la prima esperienza di quando si era ispirato all’Orfeo di Leonardo. Macchinerie che se attivano il sottopalco, proiettano con tiranti teli in verticale ma anche oltre il boccascena, ad invadere la sala, sopra il pubblico. Nel primo caso abbiamo il velo elicoidale usato nella Lulu di Alban Berg, che ruota per i cambi di scena, e nel secondo il velo del Giardino dei ciliegi, che in questo caso possiamo ora ammirare in scena nella mostra, sospeso ai due lati, e pronto ad essere teso per ondeggiare a far cadere foglie. Un telo di seta bianca, finissima e leggerissima, lungo 18 metri.

Non solo però Damiani è forse il primo ad implementare lo sfondamento della quarta parete intuito da Pirandello in termine di macchina scenica, ma nella macchina scenica sa immettere tutta la fantasia sognante che gli deriva dalla sua natura di pittore della luce. Una luce che nel fondale per Goldoni e nel velo per Cechov si fa spazio mobile e metamorfosi, oscillazione dei confini. Lo spettatore è buttato dentro con gli occhi, a tuffarsi, nel primo caso, avvolto dalla meraviglia nel secondo.

E veniamo ora agli intermezzi scenici, tre lirici e quattro di prosa, sempre relati a regie e scene del duo Strehler/Damiani. Per la lirica, con una giovane interprete veramente superlativa – la soprano Federica Raja (tra l’altro pure brava come Anja nel Giardino dei ciliegi) – ascoltiamo arie da Il matrimonio segreto (Cimarosa), Don Giovanni (Mozart), Orfeo ed Euridice (Gluck). Non solo canta bene, ma recita cantando, con il volto estatico. Un flusso di luce sonora.

In prosa abbiamo pezzi da La visita della vecchia signora (Durrenmatt), Il giardino dei ciliegi (Cechov), La mandragola (Machiavelli), La tempesta (Shakespeare).

Un excursus impegnativo per gli attori, costretti ad una maratona di frammenti che rende più difficile carburare, e non aiutati da una regia un po’ povera di movimentazione ed effetti scenici.

Bravi tuttavia tutti. 

Caldo e fluido il giovane Giuseppe Coppola nel Giardino dei ciliegi, un po’ roboante e grottesco come sindaco in Durrenmatt. Istrionica ma con classe Cristina Maccà, come vecchia signora in Durrenmatt, e come madre nella Mandragola.

Mauro Toscanelli fa i salti mortali con le armi della sua maestria. Così mentre in Durrenmatt tinteggia la figura del giudice con imperturbabilità espressionistica, giocando sulla rigidità della postura, in Machiavelli gioca il frate mezzano della burla con il tono cantante della farsa, ed un microballetto di posture e controfacce da commedia dell’arte.

Più intenso e creativo, e con più spazio quando, finalmente solo in scena, e con tempi più lunghi, si cala nella poesia del monologo shakespeariano del mago Prospero, in La tempesta.

Toscanelli qui sa muovere con piccoli fatti fisici – delicati – ora guardando in alto, ora protendendosi lievemente verso il pubblico, ora stringendosi in sé in un abbraccio a braccia conserte, ora carezzando la bacchetta magica, che poi lancia al pubblico, nell’atto estremo della rinuncia a controllare il mondo, e nell’accettazione dell’umano.

E alla maestria fisica dal tono trattenuto corrisponde l’uso sapiente di toni e pause, dal mesto sospirato ai toni alti .. dal lento ai ritmi di un parlato serrato e incalzante.

Siamo molto sottoterra, immersi nel sogno fisico di uno spazio altro, da tempo, avvolti dal bianco a calce viva dei muri, ipnotico, e il pubblico si abbandona alla mestizia problematica di Prospero, e al silenzio segue l’applauso, che è l’applauso certo all’attore, ma anche alla magia che incarna, del luogo, del percorso, e dell’arte di Damiani, che alla sua bacchetta magica mai ha rinunciato.

LUCIANO DAMIANI 1923–2023 – 100 ANNI DI TEATRO MOSTRA SPETTACOLO – idea artistica, cura della mostra e guida Carla Ceravolo – allestimento Carla Ceravolo e Paolo Orlandelli – interventi recitati e cantati selezione drammaturgica e musicale e regia Paolo Orlandelli – con Giuseppe Coppola, Cristina Maccà, Federica Raja, Mauro Toscanelli – musica dal vivo Fabio Fornaciari – Foto: Renato Ferrero – Teatro di Documenti 9/20 dicembre 2023

Foto di copertina a cura di Kirolandia: Mauro Toscanelli