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Confronto leggendario? Quando la nostalgia non basta!

A quarant’anni dal suo esordio nelle sale la saga di Karate Kid torna sullo schermo riunendo due leggende della serie e della storia del cinema.

Dopo lo strepitoso successo della serie televisiva Cobra Kai (2018-2025), la celebre serie di film di Karate Kid è soltanto l’ultimo caso di franchise cine-televisivo che decide di espandere la propria portata in quello che, dopo il titanico esperimento targato Marvel Studios, sta diventando pratica sempre più comune nelle logiche economiche e produttive della macchina hollywoodiana: l’universo condiviso. Ed ecco che, al pari di altri crossover venuti prima di lui come Alien vs. Predator (2004), The Avengers (2012) e Godzilla vs. Kong (2021), Karate Kid: Legends mira a riunire in un unico film le due star che, a distanza di vent’anni l’una dall’altra, sono state al centro della serie.

Questa volta non ci sono mosse della gru, dojo Cobra Kai o “dai la cera, togli la cera”. Il film diretto da Jonathan Entwistle, alla sua prima direzione cinematografica, prende chiaramente le mosse dai seminali film degli anni Ottanta (in particolare il secondo) interpretati da Noriyuki “Pat” Morita nel ruolo dell’indimenticabile maestro Miyagi, per creare un legame tra questi e quello che fino a poco tempo era ritenuto un remake della serie piuttosto che un film appartenente al medesimo ecosistema narrativo, in cui la parte del saggio maestro appartiene all’iconico attore di arti marziali Jackie Chan.

E sebbene inizialmente l’impianto narrativo ricalchi quello dell’originario The Karate Kid (1984), ovvero la storia di un giovane ragazzo costretto a trasferirsi in una nuova città in cui le difficoltà del processo di adattamento lo portano a scontrarsi con un gruppo di bulli locali con cui risolverà le proprie divergenze in un torneo di arti marziali, il film compie l’oculata scelta di non ricalcare lo sviluppo del primo film della serie o cercare di riproporre una storia che ruoti attorno ai protagonisti dei film originali (operazione già compiuta nella serie Cobra Kai). Esso intraprende piuttosto una nuova strada che condurrà comunque inevitabilmente a un climax finale ancora reminiscente dell’opera originaria. Questa volta il protagonista è Li Fong (Ben Wang), giovane studente di arti marziali nipote del maestro di Kung Fu Mr. Han (Chan), che, costretto a trasferirsi con la madre da Pechino a New York, si troverà a misurarsi contro i migliori giovani artisti marziali di New York, sotto la tutela dello zio e del due volte campione del torneo di All-Valley Daniel LaRusso (Ralph Macchio).

Nonostante la (più o meno) inedita strada intrapresa, appaiono numerosi le citazioni e gli omaggi ai film originali cosparsi per la pellicola, ma ciò che risulta più sorprendente e lampante agli occhi dello spettatore esperto sono i riferimenti a un altro grande franchise che sta all’origine della fortunata serie di film: la celebre saga interpretata da Sylvester Stallone di Rocky. Non è un segreto infatti che il film The Karate Kid fosse nato come una versione PG-13 destinata ad un pubblico giovane dell’amatissimo Rocky (1976). Non per mera coincidenza, infatti, alla regia del film del 1984 troviamo John G. Avildsen, già regista del film con Stallone, mentre le musiche sono curate in entrambe le pellicole dal compositore Bill Conti. Legends si presenta dunque pervaso da una serie di riferimenti all’infinita saga del pugile di Philadelphia, tra battute, inquadrature e situazioni, ma primo fra tutti il fatto che Li trovi in un ex-pugile un padre putativo piuttosto che nelle figure dei maestri di arti marziali, che rimandano e legano il film al genitore genetico della pellicola.

Se c’è una scelta corretta che il film compie è quella di non seguire la ormai deprecabile prassi del cinema d’azione hollywoodiano facendo un uso estensivo di una comicità spicciola e banale basata sull’improvvisa interruzione del crescendo emotivo di momenti drammatici con gag o battute che si propongono di strappare una risata basandosi sull’escursione emotiva che lo spettatore è costretto a esperire e di cui diviene inconsapevole complice. Molto più frequente, ma non invadente, è invece la comicità fisica e situazionale del cinema di Jackie Chan, un tratto che ha contraddistinto tutta la sua carriera.

Per quanto riguarda le sequenze di azione, i combattimenti messi in scena non sono certo il tipo di duelli che eravamo abituati a vedere nei primi film della serie, ma godono piuttosto dello scoppiettante dinamismo delle coreografie di Jackie Chan (inclusa quella punta di comicità) che l’hanno reso una stella internazionale del cinema, un concentrato di rapidi movimenti e stacchi d’inquadratura che mozzano il fiato.

A proposito delle “leggende” menzionate nel titolo, il film si propone proprio di riunire i personaggi iconici dei due rami della saga: Daniel LaRusso dai film originali e Mr. Han dal soft reboot (questa probabilmente la definizione più appropriata a questo punto) del 2010. Lo storico allievo di Miyagi interpretato da Ralph Macchio risulta però una figura totalmente inorganica e fuori luogo nel contesto narrativo del film, dando l’impressione di essere lì solo per garantire un legame con le origini della serie.

Ciò che si può ricavare dalla sua inopportuna presenza, ed è probabilmente il vero valore che il film aggiunge alla saga, è la messa a confronto di due figure divistiche che nell’ambito del “cinema di arti marziali” rappresentano due casi polarmente opposti.

Da una parte Jackie Chan, una delle più grandi icone del cinema di Hong Kong, forse la più grande dopo l’inarrivabile Bruce Lee, globalmente noto come l’interprete di uno sterminato numero di film d’azione in Cina e in America, contraddistinti dal suo particolare e ben riconoscibile stile di recitazione che combina un’impeccabile forma marziale a una superespressiva mimica facciale e fisica; dall’altra Ralph Macchio, divenuto noto grazie al ruolo di Daniel LaRusso ma incapace di uscire dall’ombra di quel ruolo per il resto della sua carriera. Di fatto, dopo il secondo film, girato a breve distanza di tempo dal primo, Macchio non è mai riuscito a mantenere lo stesso livello di fama ed è stato costretto a riprendere a più riprese il ruolo di Daniel per tentare un ritorno nella rilevanza hollywoodiana.

Le due star forniscono così una comparazione che evidenzia le alterità e alcuni possibili esiti della carriera attoriale. Jakie Chan, noto in tutto il mondo per la sua star persona, personifica l’interprete di un infinito numero di personaggi in cui ha portato il suo riconoscibile ed amato stile distintivo, non rimanendo “intrappolato” in alcuno di essi; Ralph Macchio va di fatto a coincidere e sparire dietro al personaggio di Daniel LaRusso, unico ruolo della sua carriera a cui viene associato dal grande pubblico.

Lo statuto dei due attori si riflette nel percorso dei personaggi nel film. Mr. Han, maestro di un’importante scuola di Kung Fu, parte per gli Stati Uniti per affrontare la nuova sfida di portare la sua disciplina a confronto con gli stili praticati nel continente americano. Daniel è il recalcitrante ex-campione il cui successo è ormai lontano e dimenticato, riluttante a prendere di nuovo parte ad un processo che crede di essersi lasciato alle spalle, ma di cui in definitiva desidera sentirsi ancora parte. La grande star extra-americana che parte alla conquista del mercato hollywoodiano contro l’interprete vittima del typecasting, costretto a riprendere il medesimo ruolo ancora e ancora per mantenere un po’ di rilevanza nell’industria. Non solo, tale differenza è rispecchiata anche dalla performance attoriale dei due: laddove Chan compie i propri stunt ed è ancora in grado (almeno in parte) di manifestare quell’energia cinetica e recitativa che ha contraddistinto la sua carriera, Macchio, necessariamente (e palesemente) costretto a ricorrere a una controfigura per le sequenze di combattimento al di fuori della sua portata, appare invece come quello vecchio e stanco tra i due; quasi come se con Cobra Kai avesse esaurito le ultime energie residue (nonché la motivazione) per interpretare questo ruolo.

In definitiva, Karate Kid: Legends fallisce probabilmente nell’intento di mettere insieme, sull’onda del successo di Cobra Kai, i due rami del franchise, non riuscendo a ricatturare la magia dell’originale del 1984, né l’intensità del film del 2010.

Con un villain senza rilevanza o lo spessore di Johnny Lawrence, quest’ultimo non a caso divenuto anni dopo la figura centrale di Cobra Kai, e una sceneggiatura che, nonostante quanto detto in apertura, non riesce a tirare fuori niente di innovativo, il film risulta l’ennesimo sequel senza un’anima. La pellicola non ambisce ad essere il fenomeno generazionale che il primo Karate Kid fu, ma crede di poter rubare un pezzetto della sua anima per riplasmarla in uno strumento che tenga insieme tutte le idee, le influenze e le decisioni alla base di questo film. Purtroppo quel frammento non è sufficiente per riuscire a realizzare qualcosa che non emuli disperatamente il film originale e allo stesso tempo sia in grado di lasciare un segno nello spettatore.

Un po’ come Alien: Romulus (2024) prima di lui, questa nuova iterazione di Karate Kid è un tipo di legacy sequel che non basa tutta la sua struttura narrativa su vecchi personaggi, vecchie situazioni e vecchi schemi, ma li usa piuttosto come “elementi d’arredo” all’interno di una sceneggiatura che si pone l’obiettivo di raccontare la propria storia senza ricalcare le strutture e i percorsi dei film precedenti. Disposti diffusamente per un effetto nostalgia che non ha niente a che vedere col produttivo dialogo col passato del cinema postmoderno, giustificano la propria presenza esclusivamente in un’ottica di recupero dello spettatore storico, per l’obiettivo finale di una miglior resa commerciale.

Legends si pone all’interno della nuova tendenza delle pratiche delle grandi case produttrici hollywoodiane, alla continua ricerca di nuovi modi per sfruttare le proprietà intellettuali a propria disposizione e rilanciarle per un guadagno economico fruttuoso e il più efficiente possibile.

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