Con un sorriso e due scarpe da tip tap

L’intervista impossibile con una leggenda del cinema: Fred Astaire

Bob Hope, celebre comico, cantante e attore britannico naturalizzato americano, fu uno dei grandi protagonisti del vaudeville newyorchese negli anni Venti e Trenta. Pioniere della televisione con la CBS negli anni Quaranta e Cinquanta, fu grande amico di leggende come Bing CrosbyFrank Sinatra e Dean Martin. Re incontrastato della commedia hollywoodiana nei suoi anni ruggenti, vinse ben quattro Oscar alla carriera e ricevette la Medaglia Presidenziale della Libertà dal presidente Johnson per il suo instancabile impegno a favore delle truppe americane durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ginger Rogers e Fred Astaire

Protagonista di innumerevoli successi cinematografici e amatissimo dal pubblico fino agli anni Ottanta, Bob Hope fu invitato, nell’aprile del 1978, a presentare la cerimonia degli Oscar insieme a un altro gigante dello spettacolo: Fred Astaire. Icona del tip tap, attore, ballerino e coreografo inimitabile, Astaire fu il volto dei musical della RKO accanto a star come Ginger RogersRita HayworthCyd CharisseEleanor Powell e, in un’occasione, anche con Judy Garland, madre di Liza Minnelli. Il suo stile elegante e inconfondibile, spesso accompagnato da frac e cilindro, gli valse un Oscar nel 1950 e un David di Donatello in Italia nel 1970.

Quella sera, sul palco del Dorothy Chandler Pavilion a Hollywood, Astaire aveva appena festeggiato i suoi 79 anni, portati con straordinaria disinvoltura. Anche se ormai lontano dalle sue spettacolari evoluzioni giovanili, era ancora ammirato da tutti. Fu allora che Bob Hope, con la sua inconfondibile ironia e quel sorriso malizioso che aveva fatto innamorare le ragazze degli anni Quaranta e le signore dei Settanta, lo sorprese con una trovata memorabile. Dopo aver preparato tutto in segreto con l’orchestra, gli chiese:


«Scusa Fred, ma tu hai mai ballato agli Oscar?» 

«No», rispose Astaire.

E Bob, con uno sguardo complice, replicò:

«Beh, è arrivata l’ora che balli!»

In quel momento, l’orchestra attaccò uno dei motivi più celebri della carriera di Astaire, e il pubblico – composto da star di Hollywood – si alzò in piedi, applaudendo a tempo di swing. Sul palco, Fred tornò magicamente a essere il re del tip tap, regalando una performance sorprendente, piena di grazia, ritmo e leggerezza, come ai tempi d’oro. Mancava solo Ginger Rogers. Ma per un istante, fu davvero come se fosse lì.

Agli inizi degli anni Novanta, mentre mi trovavo a Hollywood come inviato Rai per seguire la cerimonia degli Oscar, colsi l’occasione per una breve deviazione nella vicina Palm Springs, località termale dove risiedevano leggende del calibro di Frank Sinatra, Liz Taylor e Halle Barry, meta turistica , ricca di festival ed eventi internazionali, tra cui il Palm Springs International Film Festival

 Ci andai con il collega Marco Molendini per partecipare a un party speciale organizzato dal critico Felice Laudadio: si festeggiavano gli 80 anni di James Stewart.

In quell’atmosfera sospesa tra storia e mito, ebbi l’incredibile occasione di scambiare qualche battuta con alcuni degli invitati. Ricordo ancora con emozione quando, elegantemente seduta su una sedia a rotelle, vidi Ginger Rogers. Non potevo non avvicinarmi e chiederle un ricordo di Fred Astaire. Lei, con un sorriso velato di nostalgia, mi rispose:

«È stato un grande professionista, al limite della follia. Mi avevano avvisata che sarebbe stata dura… e avevano ragione. Una volta abbiamo dovuto ripetere un semplice “ciao” 47 volte. Mi sanguinavano i piedi. La danza, per lui, non era un mestiere: era un’estensione naturale del suo essere Fred Astaire. Ogni passo era studiato nei minimi dettagli, così come l’abbigliamento. Solo il nodo Windsor per la cravatta, scarpe su misura fatte rigorosamente a Londra, e mai una cintura: in scena portava un foulard di seta, perché aveva la vita troppo stretta. Ci univano una grande amicizia e l’amore per la danza. Anche lui, come me, ballava fin da bambino

Fred Astaire, all’anagrafe Frederick Austerlitz, una volta disse agli allievi di una delle sue esclusive scuole di danza a New York:

«I miei genitori trasmisero a me e a mia sorella la passione per il ballo. Insieme cominciammo ad esibirci nei teatri di provincia del Midwest, grazie a un contratto con il circuito Orpheum. Avevo solo 14 anni, ma già mi prendevo la responsabilità di scegliere le musiche, ideare i passi e cercare la perfezione. Quelle coreografie, poi, sarebbero diventate moda

Nato a Omaha, in Nebraska, alto un metro e settantacinque, elegante, magro, con un volto da lord inglese, Fred Astaire divenne presto un’icona della Hollywood degli anni Quaranta. Ballando accanto a Ginger Rogers in capolavori come Cheek to Cheek e Cappello a cilindro, creò un modo di danzare e raccontare che, come scrissero i critici, “concilia il cinema e la vita“.

Girò anche film indimenticabili in bianco e nero, come La taverna dell’allegria (con Virginia DaleMarjorie Reynolds Bing Crosby), Dancing Lady con Joan Crawford e Clark GableCarioca del 1934 diretto da Thornton Freeland, e Follie d’inverno del 1936, per la regia di George Stevens, sempre accanto alla sua musa Ginger Rogers.

Film impreziositi dalle coreografie dello stesso Fred Astaire e soprattutto dalle musiche composte da grandi nomi come Irving Berlin e George Gershwing che le facevano ascoltare in anteprima a Fred a casa di Cole Porter. E ancora oggi negli studi a Hollywood della Paramount, della Warner Bros, della Fox o della Mgm, quando si parla di Fred Astaire ci si riferisce ad una delle pietre miliari della storia del cinema americano. Il suo nome è sinonimo di perfezione, classe e anche di sottile umorismo espresso ballando e recitando come nei cult movie Spettacolo di varietà del 1953 diretto da Vincent Minnelli o Papà gamba lunga del 1955 diretto da Jean Negulescu e Cenerentola a Parigi film del 1957 diretto dal premio Oscar, Stanley Donan.

Felicemente sposato con Phyllis Potte, l’amore della sua vita, tre splendidi figli, rimasto dolorosamente vedovo, Fred Astaire a causa di una stupida polmonite spense la sua stella il 22 giugno del 1987 e i giornali scrissero che “con i suoi film e il suo tip tap spariva dai riflettori il più grande ballerino del cinema di sempre. «Il suo stile – disse il grande coreografo e ballerino Gene Kelly – non è eguagliabile. Nominando il suo nome sembra di sentire ancora lo scricchiolio sul parquet di quelle sue lucidissime scarpe da tip tap».

L’unica volta che l’ho visto da vicino è stato a New York, ero andato per un reportage sul Fifth four, il rivoluzionario club alla moda lanciato da Andy Warhol, in una delle sue famose scuole di danza fra la 42ma e Brodway, frequentata anche dal grande ballerino e coreografo Michael Barysnikov, direttore dell’American Ballett che “pescava” lì i nuovi talenti della danza da lanciare.

Ho immaginato cosa che non mi riuscì in quell’occasione, di intervistarlo, appoggiato con un braccio a uno di quelle travi che usano in allenamento i ballerini in quella grande sala da ballo che portava il suo nome. Elegante, vestito di pantaloni di fustagno scuri, come il cardigan dal quale spuntava appena una camicia di lino celeste il tutto su quelle leggendarie scarpe inglesi bianche e nere e quella mano disegnata che mi salutava come ad invitarmi a ballare.

L’eta’ per lei maestro è un optipnal.

La vecchiaia è come tutto il resto della vita che hai vissuto. Per avere successo però devi iniziare da giovane.

Oggi i giovani amano ballare il “rap” conoscono poco lo swing. Qual’è il messaggio?

Io non trasmetto messaggi. Con i miei piedi ho cercato di sentire e interpretare la musica. Non sono nato con lo smoking e il cilindro; certo ho sempre creduto che il compito più arduo dei giovani è che crescono circondati da “rumori” senza “vedere” swing ovvero l’armonia dei suoni.

La strada del successo?

Come dicevo spesso al mio amico David Niven, uno dei pochi amici della mia Hollywood, più in alto arrivi, maggiori sono gli errori che rischi di commettere.

Di lei Ginger Rogers ha detto: “Ho fatto tutto quello che faceva lui, solo che io lo facevo all’indietro e sui tacchi a spillo.

 Si, questa battuta la conoscevo. Con Ginger ho girato dieci indimenticabili film. É stata unica, non era come le altre che quando sei sotto stress per le prove di un film scoppiavano tutte in lacrime dalla fatica. Lei mai!! Con Ginger provavamo sino all’esaurimento e gli sarò sempre grato anche per quei piccoli ristorantini cinesi che scovava aperti fino all’alba dove dopo le prove riuscivamo a consumare un pasto caldo.

Qual’è il suo bilancio di una vita così piena di musica, film, partner favolose e successo?

Innanzi tutto la mia famiglia, mia moglie, la madre meravigliosa dei miei figli. Mia madre mi diceva che ho cominciato a danzare prima ancora di nascere. La cosa bella del ballo è che ti consente di parlare con il proprio partner, il problema nasce quando non si riesce più a farlo. Il successo dipende da tante cose e non è mai gratis! Ai giovani artisti delle mie scuole dico sempre, non siate mai imbronciati, divertitevi, dimenticate ballando le inevitabili malinconie della vita, indossate velocemente le vostre scarpe da ballo e il vostro cuore si rallegrerà. La vita è assai breve, si invecchia presto. Non siate mai dei vecchi che si arrendono, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore e si anche per la “pagnotta” e certamente per il vecchio adorabile indispensabile applauso.

Nel 1967 durante il Gala degli Oscar, Ginger e Fred fecero impazzire il pubblico entrando in scena insieme e ballando quel leggendario Cheek to cheek (scritta da Irving Berlin) come ai vecchi tempi. Oggi riposano nello stesso cimitero monumentale di Hollywood.

«Dopo aver visto ballare Fred Astaire – ha detto Baryšnikov, qualunque ballerino ha pensato di cambiare mestiere».

“Fred, – ha scritto nella sua biografia David Niven –  non smetteva mai di dire di essere il ballerino e stato l’uomo più fortunato del mondo. Qualcuno lassù gli aveva concesso di giocare delle carte imbattibili. Oltre al talento, quell’elegante gentiluomo affabile e generoso aveva un grande cuore e soprattutto la vita gli aveva dato Phillis, la splendida madre dei suoi figli”.

Cheek to Cheek

Nel grande salone da ballo, le ampie vetrate lasciavano intravedere il tramonto che annunciava, anche a Broadway, l’arrivo della notte. Fred mi salutò con la mano alzata e un sorriso accattivante, quel sorriso da eterno ragazzo, mentre si avviava verso l’angolo del diffusore musicale.
Quando uscii dalla scuola, appena giunto sulle scale, nel silenzio sospeso della sera newyorkese appena iniziata, mi parve per un istante di udire le inconfondibili note di Cheek to Cheek. Solo un accenno, sfiorato dal lieve “scalpiccio” di quelle scarpe magiche che avevano dato vita al tip tap indimenticabile di Fred Astaire.

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