Come una farfalla infilzata dallo spillo

In scena al Teatro del Giglio il 17 febbraio la versione “bresciana” di Madama Butterfly

Come già ironicamente sottolineato nello spettacolo di David Henry Hwang (M. Butterfly, 1988) e ripetuto con toni più drammatici da David Cronenberg nell’omonimo film del 1993, una cheerleader americana che rifiuta un buon partito locale per attendere il ritorno dell’uomo d’affari giapponese che l’ha abbandonata, finendo per suicidarsi, sarebbe considerata un’idiota. Ma se si tratta di una donna orientale che si uccide per un occidentale, ai nostri occhi appare come una storia stupenda, un sacrificio nato da un amore incondizionato.

Una questione di punti di vista culturali, al giorno d’oggi terreno pericolosissimo su cui muoversi. Mettere in scena un’opera che presenta l’incontro di due culture, anzi, di due visioni equamente stereotipate dell’autore, è facilmente ritenuta nell’epoca attuale una scelta controversa e azzardata, da ponderare attentamente, dato il tipo di critiche cui si rischia di esporsi. Eppure, altrettanto pericoloso è alterare radicalmente la natura di un prodotto d’autore in virtù di un approccio necessariamente attento alla sensibilità contemporanea.

Dunque, compiere la scelta di portare in scena la revisione bresciana del maggio 1904 della Madama Butterfly di Puccini, che non tiene conto dei successivi tagli e “autocensure” apportati principalmente in vista di una diffusione americana, sembrerebbe una decisione sensata (seppur sempre a rischio di accuse di discriminazione, ma cosa oggi non lo è?), optando per la versione maggiormente aderente ai desideri dell’autore, priva di alcun tipo di compromesso. La premessa, che non dovrebbe essere necessaria, ma ormai quasi imprescindibile, è che lo spettatore sia consapevole di assistere a una visione del mondo figlia del proprio tempo, con tutti i i pregiudizi e stereotipi che comporta, e che gli artefici dello spettacolo non intendono sostenere e promulgare.

Compito del regista del XXI secolo distogliere l’attenzione da questi aspetti e aggirare i tranelli che potrebbero urtare la sensibilità di un pubblico contemporaneo. Rodula Gaitanou decide di farlo, in maniera forse non troppo intuitiva, attraverso «un’estetica astratta che gioca sul piano della decostruzione e del simbolismo». I sinuosi fondali dipinti delle montagne di Nagasaki si prolungano nel resto della scenografia formando percorsi da parco giochi fluidi e flessuosi, all’insegna di un ammorbidimento dei confini tra differenti culture e di concezioni stereotipate. È però quella veste nuziale di Cio-Cio-San, mai chiusa, impedendoci di vedere composta la spilla a forma di farfalla che congiungerebbe i due lembi dell’abito, a indicarci l’impossibilità di un vero incontro tra un mondo coloniale occidentale e uno orientale vittima di invasione. Non è forse un caso, allora, che anche quando si tenta una combinazione delle due culture, nel formato delle vesti del principe Yamadori, i risultati sono tutt’altro che entusiasmanti. Una composizione stilistica che sa più di compromesso piuttosto che armoniosa congiunzione, testimonianza ultima dell’impossibilità di conciliare due mondi così diversi.

A proposito della partitura rivista dopo la notoria caduta alla Scala, si nota come alcuni momenti nel primo atto siano recuperati rispetto alla versione definitiva del 1907 normalmente portata in scena. Assistiamo così a una presentazione della “famiglia Butterfly” un po’ più accurata, un’invettiva anti-americana di Cio-Cio-San e la scena dell’ubriacatura dello zio Yakusidé.

La presenza comica di Masashi Tomosugi nei panni del dissoluto zio ruba la scena durante il primo atto, ma è evidente che nell’economia dell’intero spettacolo il cast femminile abbia una marcia in più rispetto ai colleghi. In particolare, il soprano Yasko Sato nei panni di Cio-Cio-San sfoggia una voce piena e sicura capace di raggiungere tutto il teatro e garantire la riuscita dell’intera opera.

Quando si parla di cantanti, poi, l’aspetto recitativo viene spesso trascurato, considerato ancillare alla performance canora. Nel caso di Sato però è necessario sottolineare come le eccellenti capacità recitative del soprano partecipino alla costruzione di un’interpretazione di Cio-Cio-San emozionanate e coinvolgente.

Al termine del secondo atto, la nostra Butterfly, immobile, come la farfalla (menzionata nel primo atto) di una collezione entomologica trafitta da uno spillo, fissa l’orizzonte per un tempo che pare infinito, riuscendo a mettere in soggezione lo spettatore, che si sente osservato e a disagio, quasi in dovere di fornire esso stesso una risposta alla giovane in trepidante attesa.

Canto e recitazione. Un connubio, questo sì, che amalgamato armoniosamente in momenti chiave, come l’attesa aria Un bel dì vedremo, consegna un’interpretazione partecipata capace di emozionare il pubblico e far vivere allo spettatore tutto il dramma e il dolore della ex-geisha abbandonata.

Madama Butterfly di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica – Nuovo allestimento del Teatro Grande di Brescia, coproduzione Teatri del circuito OperaLombardia, Teatro del Giglio di Lucca, Opera Nazionale Estone – Dirige Alessandro D’Agostini – Regia di Rodula Gaitanou – Con Yasko Sato, Riccardo della Sciucca, Asude Karayavuz, Devid Cecconi, Giuseppe Raimondo, Fulvio Valenti, Alex Martini, Maria Cristina Bellantuono, Masashi Tomosugi, Liu Tong, Mattia Rossi, Daryna Shypulina, Tiziana Falco, Serena Pulpito, Enea Piovani – Teatro del Giglio 17 febbraio 2024