Opera prima della regista Lyda Patitucci, Come pecore in mezzo ai lupiè un film che traccia un segno nel cinema contemporaneo italiano. Questo perchè parliamo di un genere quasi mai trattato in Italia, ma molto in voga specie negli Stati Uniti.
La regista, memore dei suoi lavori sui set di Matteo Rovere e Sidney Sibilia, disegna un thriller che tende al noir ma con forti elementi action movie e polizieschi.
Altra novità apportata dalla Patitucci, è la forte impronta femminile marchiata a fuoco dell’interpretazione della protagonista, Isabella Ragonese, per la prima volta nei panni di una specie di risposta femminile all’ultimo Liam Neeson.
La Ragonese, che mai in carriera aveva preso una pistola in mano (parole sue), si è dovuta destreggiare da infiltrata di polizia dentro un colpo tentato da membri della Mafia serba.
A proposito della scelta della mafia serba come villain della storia, in base a cosa ha scelto proprio quel tipo di profilo criminale?
“Anzitutto la criminalità organizzata italiana é collusa specificamente con quella serba nell’assalto ai portavalori. Secondo poi la fascinazione da parte dello sceneggiatore Gravino per la vicenda dei Pink Panther serbi, responsabili della rapina a Kim Kardashian. Poi ovviamente abbiamo utilizzato lo stereotipo per internazionalizzare la vicenda. In più c’è da sottolineare l’efferatezza che emerge anche nel film dei mafiosi serbi, figlia, dopo la caduta della Jugo e le conseguenti dei Balcani, dell’ingresso di criminali professionisti tra le organizzazioni paramilitari.”
Oltre la violenza mafiosa, un altro tema che fa da sfondo alla vicenda è la religione. Il titolo stesso del film è una frase pronunciata da Cristo nel Vangelo secondo Matteo. In tal senso, la religione è una protagonista onnisciente in molte dinamiche a partire dalla figura di santone del padre di Stefania (Isabella Ragonese), che le ha insegnato la bibbia a memoria e pratica un credo volutamente poco chiaro (valida per tutte le degenerazioni) e soprattutto di una classe sociale abbiente.
Questo padre ingombrante e poco presente che ruolo ricopre all’interno della famiglia e più in generale nella narrazione?
“il mio obiettivo in questo ambito era far vedere quanto l’aspetto religioso possa essere usato come strumento di controllo di massa. La figura di questo padre assente per i due figli, presente per i suoi adepti è esemplare. È arcigno, odia la figlia e prova pena per il figlio. Rimprovera Stefania per non essersi presa cura di Bruno (Andrea Arcangeli) dopo la morte della madre.“
È un dramma familiare tra parenti stretti, dunque fratelli in contraddizione tra loro à la Caino e Abele, assenza del padre e soprattutto rapporti madri-figlie.
Ecco alla luce di quest’ultimo aspetto, la presenza-assenza della madre di Stefania ha qualche implicazione nella vicenda dei due fratelli, specie in relazione alle sue origini serbe?
“Non penso che Vera, nome in codice di Stefania nonchè nome della madre serba, abbia avuto qualcosa a che fare con la mafia slava. Nonostante mi piaccia lasciare un non-detto su cui lo spettatore costruisce una sua personale interpretazione, non ci sarebbero agganci di questo tipo. Stefania conosce il serbo e quindi viene scelta per infiltrarsi. Il problema del risultato nei figli non è da imputare alla mancanza materna, ma al dogmatismo freddo del padre.”
Il film è prodotto da Matteo Rovere, insieme a Groenlandia e Rai Cinema(quest’ultima consapevole del successo avuto con le serie poliziesche con protagoniste femminili, Rosy Abate in primis). Il film è distribuito da Fandango.