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Collettivo V.A.N.: il teatro da un furgone

Collettivo V.A.N.: il teatro da un furgone

Per il Mythos Troina Festival è andato in scena martedì 5 agosto ACAB – Agamennone caro adesso basta, uno spettacolo del Collettivo V.A.N. Ecco l’intervista, in cui spiegano il loro processo creativo!

Una vera e propria microsocietà creativa nomade, così si racconta il Collettivo V.A.N. restituendo l’idea di un processo creativo teatrale itinerante e, soprattutto, misurato in una collettività che fa da fulcro fondamentale. Durante questo continuo peregrinare, sono approdati anche al Mythos Troina Festival, dove hanno portato in scena lo spettacolo ACAB – Agamennone caro adesso basta, interpretando il mito classico in una chiave assolutamente moderna.

Tratto dalla tragedia di Seneca, il Collettivo V.A.N. rilegge la figura di Agamennone con un linguaggio teatrale insolito: il concetto stesso di tragedia viene rovesciato nella sua controparte comica, con un risultato ironicamente grottesco. Ma non solo, perché merita particolare attenzione anche la scelta insolita di affidare il coro all’utilizzo di marionette, in uno scambio reciproco tra componente umana e quello che può essere definito il suo alterego. Di seguito, l’intervista in cui raccontano lo sviluppo del loro lavoro.

La vostra presentazione non è al singolare, ma vi presentate come collettivo, il Collettivo V.A.N. appunto. Quale idea di arte e di teatro vi unisce? Quale motore anima le vostre produzioni?

Il Collettivo V.A.N. è un progetto di teatro all’antica. Potremmo paragonarci ai professionisti dell’arte nel modo di vivere: in giro con un furgone, ogni giorno un posto diverso, monta e smonta la scena, fai lo spettacolo e riparti, entrando in contatto con nuove persone, nuove comunità e nuove realtà. Siamo a tutti gli effetti una microsocietà, con le nostre dinamiche interne: viviamo tutti insieme, scriviamo e lavoriamo tutti insieme e soprattutto viaggiamo insieme in modo rocambolesco spesso. Il teatro che facciamo è popolare, con la gente e per la gente, connesso alla realtà e accessibile. Con il riso o con il pianto, cerchiamo di comunicare qualcosa e dare forza all’unicità del teatro che è lo stare insieme, la compresenza tra attori e spettatori. Siamo atipici sotto diversi punti di vista, il nostro training spesso sono un mucchio di sigarette dopo aver trasportato oggetti pesantissimi in luoghi poco accessibili e montato la scena. Il motore che anima le nostre produzioni – la nostra vita – è la necessità di fare questo lavoro, nel modo più continuativo possibile e soprattutto di farlo insieme, vivendo le difficoltà del provare a immaginare un teatro che non sia gerarchico, dove la creazione è collettiva e ognuno si assume le proprie responsabilità. Il nostro lavoro sul classico è il fulcro. Appassionandoci ai miti, le tragedie e le opere antiche, non abbiamo trovato molte differenze tra gli eroi antichi e i supereroi attuali e abbiamo creato, e stiamo sviluppando, un nostro multiverso dove le opere antiche vengono adattate e messe in dialogo con il contemporaneo senza snaturarsi dalla filologia dei fatti. Per farlo è necessario studiare tanto.

Soffermandoci adesso sullo spettacolo ACAB – Agamennone caro adesso basta, l’opera presa in considerazione è l’Agamennone di Seneca. Una tragedia lugubre, che, come il repertorio dell’autore latino, si rivela anche cruenta e sanguinolenta. Da dove parte questa scelta? Cosa racconta la tragedia al nostro presente?

Agamennone ci ha accompagnato quest’anno, è arrivato quasi per caso. Quando abbiamo scoperto che era inequivocabilmente una tragedia ci siamo disperati perché il registro che utilizziamo di più è quello comico, gag fisiche, caratterizzazioni estreme e travestimenti. Siamo partiti da Agamennone perché ci facevano ridere i giochi di parole che apriva, ed erano tanti. ACAB è uno spin-off del nostro studio su Agamennone, voluto e realizzato in collaborazione con il Mythos, per approfondire quella che è la realtà, politica e sociale, che viviamo.  Agamennone ci ha interessato come figura in quanto archetipo del potere e di tutto cio che ne consegue. Abbiamo preso lui come riferimento per avere la possibilità di esplorare dinamiche di oppressione e ingiustizie che viviamo tutt’ora, permettendoci di schierarci pubblicamente contro qualsiasi tipo di conflitto e violenza. Parlare oggi del potere ci ha portato inevitabilmente a parlare della realtà geopolitica che ci opprime, con i nostri colori e toni, parlando di tutto quello che sta succedendo nel mondo senza mai citarlo esplicitamente, e prendendo una posizione chiara: scegliendo da che parte della storia stare.

In una contemporaneità che ricerca lo svago, una leggerezza spesso confusa con la superficialità, può la tragedia ancora svolgere veramente la sua catarsi? In questo senso, come avete riattualizzato l’antico testo latino?

Lo svago e la leggerezza non sono una cosa superficiale non c’è niente di più complesso e più sacro del far ridere. Un buono spettacolo ti fa ridere e ti fa piangere. Il riso è la prima porta d’accesso per avere la fiducia degli spettatori, perché ridere ha la capacità di entrare in confidenza, abbattere barriere. Sembra strano ma nei momenti più tragici e drammatici si può ridere di gusto. La risata è già un dramma. L’ironia, collegata alla trama e al mito, quando capace di smascherare il vero sentimento dell’essere umano fa pensare alla tragicità del reale e ti porta a esorcizzare con il riso le tue paure. Ed ecco “la catarsi” avvenire: quelle cose così apparentemente lontane, potrebbero capitare anche a noi. Ecco che ridere nasconde un vero e proprio dramma. Uccidiamo in scena dei bambini, picchiamo a ripetizione un attore utilizzando la slapstick e non capiamo per quale motivo, davanti a tanta crudeltà… la gente ride! Non crediamo che una catarsi passiva  sia però il fulcro del tragico. Nel nostro linguaggio che mischia più stili tra lo Shakespeariano e il Brechtiano, con una forte componente straniante, grottesca e musicale spingiamo lo spettatore, intrattenendolo, a sviluppare un senso critico e relazionarsi in modo attivo con gli eventi. Credendo a quello che vede, ma riconoscendone l’antinaturalismo: le donne sono uomini travestiti, i palazzi sfarzosi sono pannelli di compensato nero, il trono del re delle panche decrepite e i costumi di lusso, stracci. Più che riattualizzare abbiamo lavorato alla creazione di una monografia che potesse dar valore al percorso di Agamennone e indagare come l’ambizione sfrenata porta all’autodistruzione, e distrugge gli altri. Il nostro Agamennone ha distrutto la sua famiglia, una popolazione intera, un’infinità di vite di soldati, ha stroncato la vita di molti eroi, ha manipolato suo fratello e tutto questo per realizzarsi, “per essere di più di se stesso”.

A raccontare ACAB – Agamennone caro adesso basta sarà un coro di marionette. Una scelta singolare, che presuppone un percorso di tecnica di certo non banale o scontato. Per quanto riguarda il suo utilizzo nel teatro, sicuramente aveva una funzione di riconoscimento, di espressività e di ragioni tecniche legate al palco. Tant’è, che con il modificarsi della conformazione teatrale e della concezione del teatro, in parte, nel corso del tempo è come se l’attore avesse interiorizzato la sua tecnica. Con questi presupposti, come si è svolto questo lavoro di collaborazione tra voi Collettivo V.A.N. e un corpo estraneo? Come vi siete interfacciati a una dimensione percettiva altra rispetto all’abitudine teatrale attuale?

Le marionette sono state il nostro punto di partenza nella ricerca di una coralità che fosse grottesca, e così non ci sono in scena marionette ma Super Marionette, corpi plastici come li intendeva Craig, che vanno ad animare i personaggi del coro di Micene che ritornano nel nostro multi verso mitico come maschere archetipiche o tipi fissi che ci accompagnano nei nostri spettacoli. I cittadini sono mossi dai fili del potere, consapevoli o no del fatto che a prescindere da chi ci sia al potere il loro ruolo sarà quello di sottostare a delle leggi che non li rispetteranno.

La marionetta rimanda anche a una concezione ritualistica del teatro. Utilizzata fin dai tempi antichi a scopi religiosi-ritualistici, conservava un potere di riconoscimento, identificazione e catarsi, al di là di quegli aspetti funzionali. Perché riproporre questo linguaggio? Cosa ci racconta?

Le marionette ci hanno avvicinato allo straniamento che ricercavamo, ma per quanto riguarda la dimensione ritualistica: La nostra tragedia disegna un ciclo, eterno, che inizia e finisce nello stesso punto, pronta a ripetersi nella realtà. Finché il filo non verrà spezzato e sarà storia, questo rituale andrà ripetuto. Nel preparare lo spettacolo ci siamo accorti che nel finale, tragico, mancava la speranza e li è giunto in nostro soccorso il rock: un potente strumento espressivo per liberarsi dalle oppressioni e dai potenti. E con questo mezzo potentissimo lasciamo andare lo spettatore via dal teatro non con la compassione ma con la carica che serve – in ognuno di noi – per modificare la realtà che viviamo.

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ACAB – Agamennone caro adesso basta – regia di Collettivo V.A.N. – tratto dalla tragedia di Seneca – riadattamento di Andrea Pacelli – con Andrea Di Falco, Gabriele Manfredi, Andrea Pacelli, Gabriele Rametta e Pierantonio Savo Valente – musiche di Andrea Di Falco e Gabriele Rametta – scene di Carlo Gilè – produzione di Collettivo V.A.N. – martedì 5 agosto 2025 – Piazza Conte Ruggero – per il Mythos Troina Festival

Fonte immagine: Collettivo V.A.N.

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