Per il Mythos Troina Festival, è in scena con “Antigone non muore”, una ri-creazione dell’antica tragedia secondo una prospettiva umana.
Presso la Torre Capitania al Mythos Troina Festival, il 31 luglio va in scena Antigone non muore, per una drammaturgia di Elvira Buonocore, con l’interpretazione e la regia di Clara Galante. È proprio quest’ultima a raccontare nell’intervista qui di seguito il lavoro svolto, al netto di un percorso che l’ha vista regista e attrice – due ruoli apparentemente lontani con esigenze di sguardi diversi – e di una messinscena approfondita nel testo per trovare una sua fisicità corporea sulla scena. Non si tratta dell’ennesima parafrasi modernizzata del classico di Sofocle, quanto piuttosto di un vero e proprio lavoro di immaginazione e creazione che lo mettano in discussione.

Nel corso dei secoli, Antigone è stata riletta secondo varie e molteplici prospettive: un’inevitabile attivista politica, un simbolo del femminismo, una ribelle che lotta contro un sistema cinico e disfunzionale. In questo magma immenso, Clara Galante propone un’Antigone umana, che ricorda, denuncia, secondo l’ardore della sua coscienza. Un’Antigone che, così, si libera dalle catene che la incastrano nel mito conosciuto e la liberano come una figura senza tempo, mutevole quanto lo è la sua infinità. Di seguito, le parole della regista-attrice.
Entrando subito nel dettaglio della rappresentazione, in Antigone non muore lei, Clara Galante, avrà il ruolo di regista ma anche di interprete. È sempre interessante quando i due ruoli convergono, pur se apparentemente in scontro: entrambi due tipi di ricerca, ma da un lato la necessità di un occhio “critico”, di gestione, dall’altro invece un lavoro di introspezione. Lei come si è riconosciuta in questo percorso?
La mia natura tenta di unire cose lontane, lo faccio anche nella vita reale: cercare un punto di incontro tra le distanze apparenti. Quando mi occupo di regia, la mia modalità non è mai un approccio teorico, bensì molto fisico e di scavo. Ovviamente parto dalle cose che si sanno e che si studiano – in questo caso dal mito -, però mi piace sempre trovare lo scavo sulla scena in modo fisico, libero, facendovi entrare l’immaginazione, l’irrazionale e la fantasia. Non è stato un lavoro facile, eppure, secondo me, la bellezza sta proprio in questo trovare un punto che unisce il bianco e il nero. Sì, c’è l’occhio critico, esterno, che organizza, del regista che sta fuori e c’è, inoltre, quello dell’attore di una ricerca introspettiva. E prima di ogni cosa c’è il testo, l’affondo scavando nella parola, però quando devo cercare di trovare un senso al lavoro, metterlo insieme e organizzarlo, quando devo creare, non è mai niente preparato prima e avviene tutto sulla scena. È come se esistesse un centro di gravità permanente, che è appunto il testo, da cui poi si aprono raggi di altra matrice, perché esiste il corpo e quindi tutto l’aspetto teorico si riempie sulla scena. Per corpo intendo una dimensione più inconscia che fa parte di una natura non pratica, che sente e lo fa diversamente dalla testa. Perciò, quando affronto un certo tipo di assoli, la mia ricerca mira ad unire quei punti lontani.
Come Clara Galante attrice, in che modo si è svolto il suo lavoro di introspezione nel personaggio? La sua che Antigone è?
C’è un antefatto: avevo dato a Elvira un mio testo, un mio assolo da cui ha preso spunto per la drammaturgia. Quindi, parte da me il volere lasciare viva Antigone. Poi, ho sentito il bisogno di mettere la sua scrittura nelle mani di una donna più giovane di me, con uno sguardo nuovo, ed a quel punto ci siamo chieste quale Antigone vogliamo. La mia Antigone non è né una donna né una giovinetta come era lei anticamente. È una senza tempo: ho voluto creare un affondo sulla rappresentazione di una coscienza. Il lavoro che ho svolto ruota su diversi temi, tra i quali la morte e come viene presa nella nostra società, il suicidio, il potere, l’amore, la rabbia, la famiglia. Antigone porta su di sé il fardello di quest’ultima, come ognuno di noi nel suo percorso di formazione si porta dietro le azioni tramandate dalle generazioni. Ma Antigone, infine, arriva a rompere la quarta parete ed a chiedere al pubblico qualcosa che non si può svelare. Diciamo che si tratta di una grande meditazione che porta Antigone a un altrettanto grande apertura verso l’ignoto. Il mito è una certezza, però nessuno vi ha mai rappresentato l’intimità, quel qualcosa di umano che ha realmente mosso il personaggio. Non abbiamo fatto una rappresentazione nuova, nel corso dei secoli ce ne sono state in abbondanza e, infatti, Antigone porta anche il peso del mito nonché delle sue rielaborazioni. A me interessava focalizzare questo aspetto: il fatto che ella cercasse di liberarsi da questo peso.
E come Clara Galante regista: se Antigone è stata riletta secondo uno sguardo politico, o passionale, o tragico, lei ha scelto quello intimamente umano. In che modo ha scandagliato le sue emozioni?
Antigone apre lo spettacolo raccontando, ricordando gli accadimenti. Quindi, partiamo dai fatti. Mentre ripercorre la strada, poi, comincia a interrogarsi ed a immaginare le soluzioni, è una che indaga tanto sulle sue azioni e su cosa avrebbe potuto fare di diverso e prova a darsi anche delle risposte. Pertanto, prima la vediamo come personaggio e poi alla fine la vediamo come persona. Ho voluto farla spogliare di tutto. Non è tanto uno scandagliare le emozioni, questo lo si fa a prescindere nelle rappresentazioni. Qui l’idea è proprio di creare un percorso, è una meditazione a vita, perché da personaggio conosciuto, pezzo dopo pezzo Antigone si rende conto di non farcela più a portare tutto il peso e mette un punto, come persona. È un gioco teatrale di svelamento; infatti, quando diventa persona, rompe la quarta parete e fa al pubblico una serie di domande chiamandolo in causa.
Antigone non muore si inserisce nel programma del festival Mythos di Troina che vuole creare un ponte tra classico e teatro contemporaneo. Ecco, la sua Antigone, riscritta da Elvira Buonocore, quali elementi contemporanei presenterà, se ne avrà?
Innanzitutto, vi saranno nella scrittura di Elvira assolutamente contemporanea. Io, poi, la colloco in uno spazio temporale e fisico indefiniti. Non voglio che Antigone sia una statua e nemmeno una donna com’è nel mito, ma una coscienza che, come tale, non muore mai. Il teatro contemporaneo è anche questo, ovvero collocare in un luogo e in un tempo altro. Mi sembrava riduttivo vestirla con jeans e maglietta, anzi, la mia eroina tragicamente umana è vestita alla maniera tradizionale, ma con una serie di elementi: intrecci, fili, pietre, ricordi, pesi. Tra l’altro, porta la spilla con cui il padre si è accecato gli occhi, simbolicamente una spilla che porta con sé e che alla fine lascerà andare, come tutto ciò che porta addosso. Ancora, ha una lunga treccia che non fa altro che annodare, intrecciare, per rendere la conseguenzialità, nel senso di intrecciare il proprio destino. Quasi come una Penelope, con la differenza importante che Antigone tesse un qualcosa da dentro che le vuole dare un’altra costruttiva, non quella di rimanere attaccata al mito, al quale io ed Elvira ci siamo ribellate. Antigone, alla fine andrà verso un orizzonte che non è la caverna, esce da lì perché è troppo forte la voglia di resistere.

Se nella tragedia antica forse è proprio la morte di Antigone a restituire la potenza del conflitto nonché del personaggio, nella versione diretta da lei è proprio questo punto a essere messo in discussione. Antigone non muore, infatti, è il titolo. Perché questa scelta? Con ciò quali aspetti si vuole mettere in risalto?
Quante persone hanno sperato una fine diversa per Antigone? Perché una come lei avrebbe dovuto morire o scegliere la sua morte? Ripeto la questione della coscienza, che per me è fondamentale: abbiamo voluto ribellarci alla morte e individuare una personalità che non accetta la fine non accetta e si ribella al mito. È stata un’operazione di immaginazione, non un lavoro di interpretazione. Un po’ come se in quella permanenza nella caverna, Antigone fosse diventata un tutt’uno con la natura, inglobata. Perché ella non è tanto un corpo quanto una coscienza, va al di là, altrimenti avrei dovuto vestirla come oggi e renderla una donna della mia età. Ma per me, il contemporaneo è proprio trovare un’Antigone che non sia una statua, che faccia ragionamenti nuovi. Ovviamente non abbiamo dimenticato i temi del mito, durante questo percorso ella denuncia, condanna, ripercorre, ma si orienta su una nuova traiettoria che è l’incertezza di qualcos’altro. Che, poi, sarà il pubblico a dircelo. La contemporaneità come regista per me sta anche nel mettere il pubblico davanti a una scelta. In questo senso, non è soltanto un assolo in cui Antigone narra, ma lo spettatore sarà parte attiva, si rompe la quarta parete. Perciò, io la immagino come una performance che si muove con me, nei luoghi dove vado, a seconda del pubblico che incontro. Questa è una mia visione derivata dal maestro Luca Ronconi per il quale ho lavorato come assistente alla regia. Non a caso, nell’allestimento attuale ho portato un ricordo che ha a che fare con l’idea di questa Antigone infinita: si tratta di una maschera che indossai durante uno spettacolo in cui recitavo una donna che viveva all’infinito. Adesso è giunto il momento di rimetterla in scena, per quella stessa idea di una dimensione umana aperta al tempo che passa.
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Antigone non muore – di Elvira Buonocore – tratto dall’Antigone di Sofocle – assolo diretto e interpretato da Clara Galante – 31 luglio e 1 agosto 2025 Torre Capitania – Mythos Troina Festival.
Fonte immagini: ©Azzurra Primavera