Addio a Monica Vitti, addio alla regina del cinema italiano. “Oggi è un giorno davvero triste, ci ha lasciato una grande artista e una grande italiana “, ha scritto il Ministro della cultura Dario Franceschini in una nota.
Musa di Antonioni, simbolo degli anni ’60, Monica Vitti soffriva da anni di una malattia degenerativa e pensare che appena due mesi fa aveva festeggiato accanto al marito il regista Roberto Russo, novantant’anni. Temperamento anticonformista, una fibra da pasionaria, in una vecchia intervista confidò di voler fare l’attrice “per non morire”, per reinventare tutto, cancellare e ricostruire e soprattutto ridere di lei. Per lei saltare dalla farsa alla tragedia era un’occasione straordinaria per giocare a essere un’altra, era il suo modo di esistere. “Quando finisce lo spettacolo, per me finisce la realtà”, firmato Maria Luisa Ceciarelli questo il vero nome di Monica Vitti classe 1931.
Voglio ricordare Monica Vitti con un modesto omaggio, quello di un vecchio cronista che conosce molto bene la bellissima storia di questa donna e artista vera icona del cinema italiano e non solo che ha rappresentato un punto di riferimento, per molti attrici oltre quello tributato dal regista Fabrizio Corallo con il film documentario Vitti d’arte Vitti d’amore, presentato lo scorso anno alla Festa del Cinema di Roma . La prima volta che incontrai Monica Vitti è stata ad una prima in un teatro off di Roma dal titolo Bionda fragola, una bella commedia che poi diventò anche un film.
Me la presentarono credo Mimmina Quirico giornalista di Amica e Corriere della Sera e Flora Mastroianni, moglie di Marcello. La seconda volta quando ad una cerimonia dei David di Donatello ,la intervistai per il mio programma radiofonico Ciak che facevo per Radio 1 e poi ancora quando chiamato dal direttore di Rai 1 Carlo Fuscagni, realizzai fra New York, Parigi e Roma, un documentario sui festeggiamenti per gli ottant’anni di Michelangelo Antonioni e lei mi concesse una bella intervista che conservo ancora, dove non solo riempiva lo schermo con quel suo viso splendido, quegli occhi incisivi e magnetici quasi sognanti, quella cascata di capelli biondi sulle spalle che era già una caratteristica distintiva.
Commosse tutta la troupe per le belle parole e l’affetto riconoscente nei confronti di un regista e un uomo a cui era stata legata e che all’inizio della sua splendida carriera cambiò profondamente la sua vita, prima in teatro e poi protagonista di una trilogia centrata sulla crisi dei sentimenti, costruita per lo più intorno a ritratti femminili con film come L’Avventura, La Notte, L’Eclisse e infine nel 1964 Deserto Rosso dove lei si confermò interprete di eccezionale bravura, conquistando un successo in tutto il mondo e che poi la videro ancora protagonista fra gli altri di film come Il Castello in Svezia di Roger Vadim, La bellissima che uccide di Joseph Losey. “Attrice versatile brava e disinvolta” scrivevano all’unisono i critici e anche “divertente e ironica” in ruoli comici, monopolio allora negli anni sessanta di attori come Gassman, Mastroianni, Alberto Sordi, Nino Manfredi e Ugo Tognazzi.
Il suo volto incorniciato dalla folta capigliatura bionda e dalla frangia sbarazzina sui grandi occhi chiari, diventò uno dei simboli del cinema italiano. ”Non riuscivo a capire” diceva in un intervista: ”A chi dovevo dare retta, ad Antonioni che diceva che ero nata peri ruoli drammatici o a Monicelli che sosteneva quelli comici”.
Infatti lei è stata brava in tutti e due i ruoli, ci ha conquistato con film come: La ragazza con la pistola proprio di Monicelli, Dramma della gelosia di Ettore Scola, “due film“, scrissero i critici in cui “dominava la sua trascinante comunicativa”, a cui seguirono capolavori come Teresa la Ladra di Carlo Di Palma con il quale ebbe una breve storia sentimentale. La Tosca di Luigi Magni, Polvere di Stelle al fianco di Alberto Sordi che firmò anche la regia e Il tango della Gelosia di Steno. Insomma, un successo ed una popolarità’ che però’ non è stato determinato solo da commedie, basti pensare ai film diretti da autori come Miklós Jancsó con cui girò nel 1971 La pacifista o il trasgressivo Luis Buñuel con cui girò nel 1974 Il fantasma della libertà proprio quando poi, lo stesso Michelangelo Antonioni nel 1980 la volle protagonista nell’austero Il mistero di Oberwald, fino all’affermazione prestigiosa come migliore attrice al Festival di Berlino nel 1983 con il film Flirt di Roberto Russo, film dove lei cofirmava anche il soggetto e la sceneggiatura a cui seguì sempre diretta da Roberto Russo nel 1986 “Francesca è mia”. Una bella carriera signora Vitti non c’è che dire, cominciata proprio in quell’Accademia d’Arte Drammatica frequentata con la sua amica Rossella Falk con la quale tornò a recitare in palcoscenico in una versione tutta al femminile de “La strana coppia” di Neil Simon.
”Monica Vitti è una delle più famose attrici del cinema italiano e la sua caratteristica voce roca e l’innata verve sono state le componenti di un’affermazione artistica davvero straordinaria”, riassume in sintesi una carriera cinematografica e non solo, tutta da rileggere anche attraverso i numerosi premi e riconoscimenti fra cui la prestigiosa Legione d’Onore in Francia e L’Ordine a Grand’Ufficiale al merito della Repubblica Italiana, poi un Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia, L’Orso d’argento alla Berlinale per Flirt, un Globo d’Oro come migliore attrice per Dramma della gelosia, 3 Nastri d’Argento, una Targa d’oro e 5 David di Donatello come migliore attrice, 4 Grolle d’oro, una Targa speciale per Flirt e nel 1990 è stata nominata al David anche come regista esordiente per il film Scandalo segreto.
Nel 1968, l’anno delle grandi contestazioni, è stata Presidente della Giuria Internazionale del Festival di Cannes, dove per solidarietà’ al maggio francese di protesta, si dimise, imitata da Roman Polański e Terence Young. Ha recitato con Tony Curtis in La cintura di castità’ di Pasquale Festa Campanile e nel 1966 fra le mille curiosità’, titoli di film, articoli e copertine rifiutò un ruolo importante in Gran Prix di John Frankenheimer al fianco di Yves Montand e James Gardner. Il clima attorno al Suo nome ed alla Sua popolarità’ era talmente denso come Lei, che nel giugno del 1984 dopo aver preso parte al picchetto d’onore ai funerali di Enrico Berlinguer assieme a Fellini e Marcello Mastroianni, poco dopo, il prestigioso quotidiano francese Le Monde commise una clamorosa gaffe, pubblicando in prima pagina la notizia della sua morte e lei cara signora Vitti con la solita eleganza, in un mondo di “urlatori” smentì’ la notizia.
Con un sorriso, ringraziando Le Monde per averle allungato la vita e nello stesso anno fu protagonista con Orazio Orlando di “Ma chi è quello li” un videoclip che diventò virale con una canzone cantata da Mina composta da Pino Donaggio. In una recente intervista al Corriere della Sera, Lina Wertmuller parlando di lei , raccontò di quando a Parigi entrambe impegnate in teatro, gli attori dovevano recitare tutti con una tuta! Lei che voleva indossare un bell’abito di voile azzurro, tagliuzzò quell’antipatica tuta. La Wertmuller che a dispetti ci va a nozze di nascosto tagliuzzò a sua volta il vestito e fece ricucire la tuta. Naturalmente lei non la prese bene, tanto che i vostri percorsi professionali si divisero. Che carattere e che protagoniste.
Voglio ricordarla signora Vitti, citando il pensiero di una giovane fans che parla di lei. ”Monica Vitti è stata bionda, bruna, rossa, corvina, diceva battute come “Mi fanno male i capelli” e cantava “Ma ‘ndo’ vai se la banana non ce l’hai”. Cercatela. Non ve la perdete. Accadde in Deserto Rosso e in Polvere di stelle. Guardatela! Ascoltatela, sopra e sotto. Ecco termino così signora Vitti dicendole grazie a nome di tutti quelli che come me hanno amato amano e ameranno i suoi film. E se mi consente un pensiero a suo marito Roberto Russo, in un suo bell’articolo Nausica Mazzi ha scritto: ”Il coraggio di amare chi qualche volta non ci riconosce”.