Ci sono autori che parlano in silenzio, che servono parole fatte d’aria, parole che prendono la forma scritta e la materia dell’inchiostro per imprimersi nella memoria come fa il suono più che il segno. La loro vita ricorda il fruscìo della pagina voltata, quel refolo che profuma di inevitabile eternità.
Seguire Christian Bobin, francese di Le Creusot, nelle sue peregrinazioni poetiche è scegliere di accettare quel silenzio, di accogliere il vuoto dell’immanenza, di aspettare che qualcosa di imprevisto accada e ci raggiunga da lontano, da uno spazio interiore di pura risonanza.
Narratore di poesia e prosaico poeta, Christian Bobin fa emergere la sua scrittura dalla dimensione primaria dell’ascolto: della notte che precede la venuta delle parole, dei fiori sulla scrivania esposti ai raggi del sole, di un cane che scodinzola, accompagnandosi al suo fraterno padrone.
Piante e animali e bambini e silenzio sono gli interlocutori privilegiati di un dialogo nel quale, lentamente, l’autore scioglie la matassa della sua quotidianità volutamente solitaria.
Osservandoli e parlando con loro, Bobin scopre la bellezza e il suo dono, la resistenza e la resa, la transitorietà e caducità di ogni cosa. Testi come Consumazione, un temporale (Servitium Editrice, 2006), La parte mancante, (Servitium Editrice, 2007), Autoritratto al radiatore (AnimaMundi Edizioni, 2012) e Mille candele danzanti (AnimaMundi Edizioni, 2022) trasudano di una mistica esistenzialista, che coglie dappertutto l’alito di una parola vivificatrice e la sua potenza universale.
“Ti amavo. Ti amo. Ti amerò. Non basta la carne per nascere. Occorre anche questa parola.”
Nel confronto con dio e partendo da San Francesco, figura della cristianità più coraggiosa, Christian Bobin azzarda poi, per i suoi lettori, il racconto dell’amore.
In Le Très-Bas, L’infinitamente piccolo, primo dei suoi libri pubblicati, Francesco, la madre e il padre e Chiara, e il cane e la parola d’amore sono tutt’uno con la vita.
La madre di Francesco è l’aurora che ritornerà ovunque nelle righe di Bobin. È tutte le madri e la loro prossimità all’assoluto, sostanza dell’eterno. Il padre è il giudice inclemente che Francesco è per sé stesso mentre decide di staccarsi da colui che lo ha generato per ritornare ai cammini dell’infanzia. In Chiara, Francesco trova “l’interlocutore privilegiato”, negli uccelli, negli asini, nei cani tutta la dolcezza dell’andare per le strade d’Assisi mantenendo sulla bocca il riso di Dio.
Tra biografie e pensieri sparsi in taccuini di memorie, Bobin spiega sempre cosa voglia dire, per lui, stare al mondo: “Il mio modo di riconciliarmi col mondo è di separarmene per scrivergli”, dice.
La sua è scrittura non di conciliazione ma di celebrazione, che si genera nella distanza e necessita di distanza, della presa di coscienza di uno sguardo onnicomprensivo e, perciò stesso, necessariamente esterno alla vita “di fuori” così come fu per coloro che la chiesa chiamò poi santi.
Meno noto in Italia di quanto lo sia in Francia, Christian Bobin ha lasciato le scene del mondo nel novembre del 2022 esattamente così come le ha abitate, senza far troppo rumore, continuando ad esistere nel sacro segreto del silenzio di una parola che cura.