di Linda Sogaro
In scena fino al 1 Marzo al Teatro Studio Uno lo spettacolo “Cervus”, dall’omonima opera di Aaron Mark, adattato e diretto da Michele Demaria, protagonista insieme a Ludovica Apollonj Ghetti.
La pièce, una commedia dai toni decisamente noir, ha compiuto un lungo percorso dallo scorso anno, quando sempre al Teatro Studio Uno è stato presentato per la prima volta durante la rassegna “Pillole”, tra le proposte più apprezzate di quest’ anno.
Fin dai primi secondi ciò che più risalta all’occhio spettatore è l’elemento scenografico, originale e dinamico, pensato dallo stesso regista e costruito dalla Ditta Lustrini: progressivamente viene modificato durante lo spettacolo, nelle transizioni dei cambi di scena.
Inizialmente, i due protagonisti si trovano in macchina: una coppia in crisi che ha deciso di passare un weekend fuori per riscoprire qualche momento di intimità e vicinanza. Durante il tragitto, investono un cervo: lo sventurato animale diventerà il fulcro delle dinamiche disfunzionali della coppia, rappresentando simbolicamente le rispettive mancanze psicologiche. Per lei il cervo ucciso sarà destinatario di cure materne deliranti nonchè di spazi d’ascolto ormai perduti, per lui il ricettacolo di sfoghi narcisistici e pensieri inconfessabili. Il tutto in una modalità esilarante: l’animale morto assumerà prima la voce irriverente di lui, poi la voce sospettosa di lei.
La macchina è quindi smontata, cambiata, i sedili vengono trasformati nel divano di una casa di campagna, dal protagonista viene appesa una finestra, (sul passato, sulle bugie, sulle possibilità perdute, anche semplicemente sul resto del mondo dimenticato); elegante il pannello dalle forme in bianco e nero che disegnano sul fondo del palcoscenico un momento intimo tra i protagonisti, il tutto esaltato dalle musiche originali di Giorgio Mirto. (Impossibile non notare la provocazione relativa a “Tutti insieme appassionatamente”, che sottolinea ancor di più i passaggi psicotici della narrazione).
Il testo in sè è costellato di battute sferzanti, incredibilmente realistiche: il livello di complicitá tra i due attori e le scelte registiche hanno insieme il merito di averlo reso ancor più sottile, stracolmo di richiami, indizi e rimandi che lo trasformano quasi in un giallo: lo spettatore è agganciato dalla storia dall’inizio alla fine, ride e resta incredulo di aver sentito davvero ciò che viene detto, impudicamente e senza vergogna, si riconosce e si differenzia, tuttavia non si distrae: resta vigile per capire i risvolti di un testo geniale e di un adattamento divertente, certo, ma anche conturbante e completamente avvincente, non solo nei contenuti ma anche nella forma.
“Non è che non vuole bene alle persone, è che egoista”