Il maestro Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura, nel 1996 scrisse “Ceneri alle ceneri”. Ennesimo capolavoro intriso del suo marchio di fabbrica, il teatro dell’assurdo. Con l’aggiunta, per la prima volta nella sua carriera – lui, ebreo – del tema dell’Olocausto, gli orrori della Shoa messi a nudo attraverso un dialogo serrato e di inconfondibile stile. Nascosto tra le pieghe di un dialogo tra due personaggi. Devlin e Rebecca, marito e moglie, discutono nel salotto di casa, allestito per due serate, il 15 e 16 marzo, sul palco del Teatro Tor Bella Monaca. Una scenografia ridotta ai minimi termini, quella scelta dalla regista Gabriela Corini, che è interprete anche di una Rebecca sottoposta a incalzante requisitoria da Roberto Zorzut (Devlin), responsabile per lo spettacolo anche del disegno luci. Mai troppo intense.
I due protagonisti incarnano i clichè della coppia di mezza età che all’amore ha sostituito (in)consapevolmente l’abitudine, disegnando una comfort-zone che produce poco rumore e pesanti silenzi. E’ il viàtico che porta dritto all’erosione della complicità, fino ad annullarla. E apre il fronte ai cosiddetti “vuoti da riempire”: emotivi e fisici. Di qui si fa breve il passo verso l’insinuarsi di segreti e sospetti. Rebecca, con disincanto, rivela di aver avuto un amante, passionale sì ma dai modi ruvidi. China all’indietro il capo, simulando una mano che le avvinghia con prepotenza il collo. Secondi di sospensione, una testa rivolta verso il soffitto che Corini propone con efficacia espressiva anche in altri passaggi della pièce.
Devlin – che Zorzut carica di toni grevi – è apparentemente sorpreso e inizia a rivolgere domande. Per carpire dettagli e motivi. Il suo freddo distacco progressivamente diviene nervosismo brusco e manesco. Ma siamo certi che non stia fingendo, davvero risulta estraneo agli sviluppi? Il passato torbido della moglie e i suoi ricordi rompono un equilibrio di serenità a questo punto solo apparente. C’è anche dell’altro, lancia un velo di orrore e mistero sulle identità dei due coniugi. Ed’ è in questo passaggio dell’atto unico – tra battute asciutte, attacchi e silenzi – che prende forma il ponte con la tragedia dello sterminio: accenni verbali e gestuali descrivono privazioni, disegnano premature scomparse. Violenze e prevaricazioni. Accenni, a oppressori e oppressi. Tra mistero e incomunicabilità apparente da parte dei due protagonisti. Bravi nel cogliere le sfumature di un testo che dev’esser conosciuto ancor prima di esser valutato nella sua trasposizione in scena. Nella migliore tradizione di Pinter, e del suo maestro Samuel Beckett, la rappresentazione si chiude in un crescendo di pathos che lascia allo spettatore interrogativi e scenari potenziali.