Cavani: il ruggito spento del Leone

Premiata a Venezia con l’ambito riconoscimento alla carriera, ma «L’ordine del tempo» è un film senz’anima

Liliana Cavani: novant’anni, una filmografia entrata di diritto negli annali della cinematografia mondiale, un Leone alla carriera certamente meritato, e purtroppo un’occasione persa. Non vorremmo essere cinici, ma se è vero che l’ordine del tempo per noi comuni mortali è spietato, probabilmente questa è anche l’ultima occasione della Cavani, cineasta che invece preferiremmo ricordare con i titoli che l’hanno resa famosa e forse immortale: «Il portiere di notte» (1974), «Al di là del bene e del male» (1977), «La pelle» (1981), «Interno berlinese» (1985), «Francesco» (1989). L’ultima pellicola, prima di questa, risale a ventuno anni fa («Il gioco di Ripley», 2002), un silenzio troppo lungo di cui ora si scorgono i motivi. L’ordine del tempo è stato presentato, il 30 agosto scorso, fuori concorso all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, racimolando scarsi consensi; molto meno di quanti ne abbia raccolti l’autrice quando le è stato consegnato l’ambito Leone a una carriera piena di ruggiti, oggi spenti.

Benché sia stato suggerito da un soggetto tratto dall’omonimo saggio del grande fisico italiano Carlo Rovelli (Adelphi, 2017), il film, che s’illumina a intermittenza di flash intellettuali intorno alla natura del tempo e della sua percezione umana, non decolla mai, restando schiacciato da una trama assai fiacca, da dialoghi spenti e sempre superficiali, addirittura inchiodati a un cliché fin troppo borghese. Girato quasi interamente su quel tratto di spiaggia laziale, sotto il profilo della maga Circe, fin troppo caro a Moravia e a Pasolini, verrebbe da chiedersi, in un impeto di nostalgica modernità ormai perduta, come avrebbero affrontato lo stesso tema della fine del mondo i due scrittori, pilastri del Novecento letterario e cinematografico.

Francesca Inaudi e Angela Molina

Se i ragionamenti di Rovelli ci suggeriscono di riflettere sulla vita e sulle scelte di ogni giorno, cancellando l’idea dello scorrere del tempo, perché esso è soltanto un prodotto dell’umana convenzione, la Cavani trova nel terrore di una catastrofe imminente (un gigantesco asteroide che sta per colpire il nostro pianeta) quella forza/disperazione capace di annullare il senso del tempo in chi sa che a breve non rimarrà più nulla. Sembrerebbe un ottimo pretesto cinematografico da sviluppare con l’intensità delle sfumature di Ingmar Bergman, oppure con le irresistibili ironie di Woody Allen, e chissà cosa ne avrebbero fatto Louis Malle o Almodovar. Invece, davanti alla macchina da presa, Alessandro Gassmann e Claudia Gerini (completamente fuori parte), Edoardo Leo e Knesiya Rappoport (e gli altri) non riescono nemmeno a esprimere credibilità in un momento che dovrebbe essere drammatico, ma anche ineluttabile. Gli equilibri che negli anni si sono instaurati in un gruppo di amici all’improvviso, a causa dell’imminente devastante pericolo globale, vacillano e si assiste a una svogliata rincorsa (un po’ troppo in giacca e cravatta) della verità. Ma si tratta di una verità sempre rasoterra, proprio com’è la recitazione televisiva degli interpreti. Eppure i personaggi sfoggiano un’ottima preparazione culturale (merito di Rovelli), ma da loro non esce alcun pensiero illuminante. Tutt’altro: è quasi sempre una questione di corna o di soldi! Meno male che Francesca Inaudi e Angela Molina riportano un po’ di credibilità e anche di intensità emotiva e intellettuale in una pellicola che, per rispetto all’autrice, non avremmo mai voluto vedere. «Non mi interessa la verità – dice la monaca Clarissa interpretata dalla Molina – ma solo quel che hai nell’anima.» E, purtroppo, l’anima del film non c’è.

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L’ordine del tempo un film di Liliana Cavani, tratto dall’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli. Sceneggiatura, Liliana Cavani, Paolo Costella e la consulenza di Carlo Rovelli. Con Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Knesiya Rappoport, Richard Sammel, Francesca Inaudi, Valentina Cervi, Fabrizio Rongione, Angeliqa Devi, Mariana Tamayo, Alida Calabria, e la partecipazione di Angela Molina. Regia, Liliana Cavani

Foto di copertina: Edoardo Leo e Alessandro Gassmann