di Roberta Calandra
Inutile negare che conosco Elena Di Cioccio personalmente, mi serve aprire così per sottolineare quanto la sua recente confessione shock alle Iene abbia sorpreso pure me. Malgrado tante confidenze condivise su argomenti niente affatto facili, spazi comuni, sogni confessati sottovoce, preghiere, ho ammirato –voglio essere dichiaratamente frivola- il grande stile con cui ha saputo raccontare della sua sieropositività alla nazione intera.
Che a parlare ancora di aids non si fa un soldo di danno anche se sembra un po’ il contrario. Il libro tra l’altro è scritto sapientemente bene, con la mano sicura di chi sui colpi di scena lavora su una vita, anche se il suo pregio migliore non è nella confezione ma, incredibilmente oggi, nel contenuto biografico, nella sostanza di un racconto. Perché il suo modo di essere si incunea con eleganza, efficacia e senza sconti, in quello spazio così difficile e tanto male praticato dal nostrano –mai abbastanza nostro- star system, tra la rappresentazione artificiosa di sé e una spiacevole ostentazione del dolore. Un varco sottilissimo ma concreto, che potremmo definire senza esagerazione “autenticità”.
D’altra parte se il mito fondativo del buddismo narrato dalla stessa Elena che vede una schiera di coraggiosi bodhisattva lanciarsi sulla terra con pesanti fardelli karmici per risolvere il pacchetto e incoraggiare gli altri ha qualche chance di convalida perché non approfittarne, anche da laici, per affondare se non il bisturi almeno la limetta delle unghie in quelle zone scomode di noi che ci costringono a continui forzosi giochi di inautentiche rappresentazioni su una scacchiera sociale sempre più sbiadita?
Certo che ce ne vuole di coraggio per raccontare della propria stordita disperazione, delle anaffettività familiari incastonate dietro un cognome celebre, dell’angoscia del dilemma comunicativo della propria condizione ai partners affettivi e sessuali e delle mancate obbligatorie sincerità in tali evenienze, ce ne vuole e lei lo ha avuto. Hitchockiano e commovente il racconto del suicidio della mamma e chi più ne ha più ne metta. Ma, attenzione: il libro scorre agile e a tratti perfino divertente. Tutto ciò a rimarcare di che lacrime e di che sangue grondino gli scettri dei più apparentemente fortunati? Forse. Anche. Non solo. Non soprattutto. Sopra tutto il resto c’è Elena e la sua vita che luce alternata al neon getta anche sulle nostre. Volendo recepire, che è sempre un po’ più utile e interessante del lavare i panni delle famiglie altrui.
Elena Di Cioccio “Cattivo sangue” Vallardi editore 2023.