Per l’edizione 2024 del Festival La Versiliana, il debutto in prima nazionale di “Cattivi”. L’intervista all’autore e interprete, Gennaro Duccilli.
Per antonomasia agosto è il mese in cui spazio e tempo sembrano arrestarsi; ma non per il teatro che continua ad essere l’isola felice in cui trovare rifugio e ristoro in queste calde giornate d’estate. Così, proprio nella giornata in cui ci si appresta a celebrare l’abituale notte di San Lorenzo, Il Festival La Versiliana alza il sipario sulla sua quarantacinquesima edizione. Da qui a giorni, il debutto in prima nazionale di Cattivi, spettacolo scritto e interpretato da Gennaro Duccilli e diretto da Adam Reith. Un viaggio, che attraverso alcuni dei volti – più o meno noti – del teatro (e non solo) esplora e indaga la coscienza di un attore alla ricerca del proprio sé artistico.
Così, in questo caldo pomeriggio d’agosto, abbiamo intavolato – seppur limitati dalla distanza fisica – una piacevole conversazione con l’autore e interprete Gennaro Duccilli, durante la quale non sono mancati gli interessanti interventi dei suoi due compagni di viaggio, Eleonora Mancini e Giordano Luci.
Mancano ormai pochi giorni al debutto – oltretutto in prima nazionale – del suo nuovo spettacolo Cattivi per questa edizione della Versiliana.
Si. Eravamo già stati alla Versiliana quattro anni fa, in pieno periodo Covid, con Edgar Allan Poe; ma questa volta sarà un’emozione doppia perché lo spettacolo è molto più impegnativo. Lì, in quell’occasione, ero da solo; mentre questa volta con me ci sono – collegati da “corrente elettrica” – Eleonora Mancini e Giordano Luci che hanno condiviso con me tutto un percorso teatrale. Cerchiamo, quindi, di portare avanti una poetica.
Sarà questo, uno spettacolo che accende i riflettori sugli anfratti più bui del Teatro attraverso quelle maschere che hanno attraversato la storia del teatro e che, esercitando un non so che di fascino, si son fatti veicolo interpretativo della natura umana. Qual è stato (se c’è stato naturalmente) il fascino che i Malvagi del Teatro hanno esercitato su di lei fornendo così la scintilla per questa mise en scene?
In realtà ci siamo ispirati a “Il Codice dell’anima” di Hillman. Abbiamo così immaginato quest’attore anziano, quasi sul finire della vita, che è un po’ disilluso; che cerca di ritornare sulle scene, ma ha qualche problema e sente però che il suo Daimon – per l’appunto nella concezione Hillmaniana – cerca di attivarlo; di muoverlo dal di dentro. E proprio questa sorta di Daimon riesce – attraverso proprio i personaggi “cattivi” – a vivificare l’attore e dargli quella forza che ormai gli manca… E poi le maschere! Le maschere hanno un potere straordinario. Se penso alla maschera creata da Johnston… è la maschera che in qualche modo negli anni abbiamo cercato di creare anche noi: una maschera interpretativa – vivificante per l’appunto – che dà un’energia nuova, diversa, altra ai personaggi. Perché gli stessi personaggi che andiamo ad interpretare non li interpretiamo nella maniera classica, ma come se – attraverso quello che è il nostro percorso teatrale; la nostra poetica – queste maschere potessero avere una forma diversa a seconda dei momenti della nostra vita; della nostra carriera. Insomma, in un continuo cambiamento. Quindi, anche lo spettacolo che andiamo a rappresentare, dove ci saranno Il Fantasma dell’Opera; Dr. Jekyll/Mr Hyde; Salomè; Erode; Otello; Iago… sono tutti personaggi che vivono in una continua trasformazione grazie alle maschere che li rendono in ogni momento autentici. Quindi, non delle maschere del teatro, della commedia dell’arte; ma delle maschere vive, che hanno sempre vita e che hanno voglia di rinnovarsi e riaffacciarsi alla vita in maniera sempre nuova.
[E proprio perché siamo entrati nel vivo del concetto di Daimon ad intervenire è Eleonora Mancini, che nello spettacolo veste proprio i suoi panni.]
Per il Daimon l’operazione è stata abbastanza complessa perché il Daimon è quello dell’attore e quindi è un filtro che guida l’attore a sua volta in questo percorso di susseguirsi di maschere. Credo che sia stato possibile perché io e Gennaro Duccilli ci conosciamo molto bene: ci conosciamo da vent’anni; sono stata sua allieva e con lui lavoro da vent’anni. Abbiamo fatto moltissimi spettacoli insieme, quindi ci conosciamo molto bene dal punto di vista attoriale e anche personale. Per questo come operazione è stato possibile in qualche modo lasciarsi attraversare da questa “corrente elettrica” – anche sua che io conosco – e a sua volta trasmettere la mia sotto forma di energia attraverso il Daimon. È stato un bel lavoro di specchi; di maschere e specchi. Infatti molti dei miei personaggi e anche dei trucchi che costruisco in scena sono ispirati alle sue di maschere, che ha creato negli anni interpretando diversi personaggi come il Caligola (che tra l’altro è inserito all’interno di “Cattivi”), Riccardo III; Dr. Jekyll/Mr. Hyde. Quindi… è stato possibile grazie a questo!
[Rivolgendoci nuovamente a Gennaro Duccilli, autore e interprete di Cattivi] Rimanendo nei confini del concetto di Daimon e tenendo naturalmente a mente le teorie di Hillman, l’oscurità è qualcosa da cui tendenzialmente fuggiamo e che cerchiamo di esorcizzare. Crede che, invece, il lato oscuro rappresenti quell’Yin determinante alla definizione sia artistica che personale di un individuo?
C’è proprio una battuta del Dr. Jekyll che dice: «Il bene e il male sono intimamente allacciati nella nostra anima. Ora provate a supporre che si possa separarli sciogliendo il laccio: liberare il bene per farlo ascendere ai suoi alti destini e segregare il male; il male che è in tutti noi». Ecco, credo che sia una battuta che possa dare l’idea di quanto queste due forze riescano a determinare poi anche la felicità di una persona; quanto si riesca ad alimentare la parte buona e quanto invece quella cattiva. Noi cerchiamo attraverso il teatro – e anche attraverso lo stesso spettacolo – di alimentare la parte buona dell’essere umano; quell’anima che riesce ancora a volare, ad essere autentica. E cerchiamo, attraverso il nostro lavoro di attori, di puntare sempre a tendere la nostra vita – e anche il nostro modo di essere – sempre più vicina ad una verità altra, che non sia una verità legata al quotidiano (che come diceva Heidegger, inautentica) …
Qui con me, poi, c’è anche Giordano Luci che interpreta il Suggeritore/Morte, nonché l’antagonista Hambert che nel corso dello spettacolo mi ucciderà più volte, per cui sarò costretto a rinascere almeno quattro/cinque volte. E questo può accadere solo in teatro! Perché sai, in teatro «il presente, il passato e il futuro possono coesistere seduti l’uno sulle esili gambe dell’altro» Una battuta dello spettacolo, questa, che ti do in anteprima assoluta!
Attraversando ancora gli anfratti oscuri in cui ci siamo inerpicati. Convenzionalmente identifichiamo il malvagio come colui che vive una vita al limite; con Cattivi, qual è, però, il messaggio che si desidera veicolare?
Ecco, questa è la domanda che temiamo di più, però a cui bisogna rispondere! In realtà c’è una miriade di messaggi che secondo me vengono fuori da questo spettacolo. Non vi è un solo messaggio, perché si toccano talmente tanti argomenti della vita dell’attore e dell’uomo che è difficile estrapolarne solamente uno. E poi sono messaggi che molte volte possono arrivare anche a livello inconscio perché noi lavoriamo tanto sul discorso relativo all’inconscio; tant’è vero che parte tutto con l’incubo di questo attore. Quindi, ti rispondo sinceramente: ogni frammento legato alle scene che andiamo a rappresentare contiene sicuramente un messaggio. Ad esempio, c’è quel momento terribile che è la morte di Desdemona, in cui Otello – che sembra un personaggio buono – in realtà uccide la donna che ama e quella scena (che poi chiude il primo atto) racchiude tanto e quindi il messaggio arriva molto forte; talmente forte che durante le prove persone sono rimaste, non dico sconvolte, ma molto turbate. Ma questo per citare solamente qualcosa… Come, poi, il momento della trasformazione di Jekyll che si trasforma usando le parole di “Una stagione all’Inferno” di Rimbaud (questa è un’altra chicca che ti dedico, perché non lo sa ancora nessuno!). E anche lì, la trasformazione di Jekyll in Hyde che prende le forme per qualche momento anche di Alex di “Arancia meccanica” … Perché noi facciamo tante incursioni anche nel mondo del cinema, del fumetto… C’è qualcosa di Joker, di Pinguino… Quindi, questo per dirti che lo spettacolo è quanto mai complesso e i messaggi che arrivano sono molteplici e multiformi.
Un lavoro, quindi, da cui emergono numerosi input.
Si, sono degli input che ci costringono – per fortuna, gioco forza – anche a cambiare l’impostazione, perché non è qualcosa di già scritto che vai a rappresentare. È qualcosa invece che è una sorta di work in progress e ogni volta devi fare i conti con i personaggi, con le scene che vengono fuori perché è qualcosa in movimento. Ecco, questo è uno spettacolo che non si fermerà mai: lo andremo a rappresentare in Toscana, a Roma, poi gireremo; però sono convinto che si trasformerà continuamente. Non sarà qualcosa di morto; di finito perché ci sono tanti e tanti messaggi che vengono fuori ai nostri occhi continuamente; messaggi da condividere; una poetica da condividere.
Al netto di quanto abbia detto finora, potremmo individuare il focus dello spettacolo nell’essenza identitaria della persona e del personaggio. Ma cos’è che la definisce? A definirla è più una vita che abbia cavalcato le proprie ombre o che nell’ombra si è nascosta?
Io ho qualche anno, insomma e quindi ti posso dire che sono belle entrambe le cose. A volte bisogna cavalcare l’ombra; a volte un po’ nascondersi. Perché anche nascondersi un attimo serve per ricaricarsi e sentire quanto è importante poi quel momento in cui cavalchi. Anche quei momenti possono essere sublimati da quello che noi facciamo, perché in realtà chi fa l’attore – come mi suggerisce giustamente Eleonora – vive entrambe le cose pienamente. A volte, siamo costretti a nasconderci; altre volte siamo liberi e più vivi quando invece cavalchiamo l’onda; cavalchiamo soprattutto la nostra anima, il nostro Daimon. Perché nel momento in cui contraddiciamo il nostro Daimon e lì che il Daimon ci si mette contro e arrivano la depressione; i momenti bui… L’attore non è come gli altri artisti: il musicista, ad esempio, ha uno strumento e può interagire con esso; all’attore qualcuno, invece, ha detto: «non rimane che l’abisso» ed è proprio in quell’abisso, con le correnti sotterranee; in quelle venature; in quelle arterie che stanno giù in fondo all’abisso che noi possiamo ritrovare la forza per ripartire e per essere di nuovo noi stessi.
Lasciando ora spazio ad una piccola curiosità. Quali sono stati i “cattivi” che hanno segnato la sua coscienza e identità sia artistica che personale? Sono gli stessi che troviamo nello spettacolo e che ne hanno dato vita?
Si, sicuramente ci sono dei personaggi che hanno segnato non solo la mia carriera artistica ma anche la mia vita. Sono: Caligola (presente in “Cattivi” anche se per soli cinque minuti), sicuramente; il Riccardo III di Shakespeare, presente nello spettacolo anche se si muove con le forme in parte di Hyde ed in parte di Alex di “Arancia Meccanica”. Sono poi, naturalmente Jekyll e Hyde; ma anche Bosola de “La duchessa di Amalfi”. Ecco, questi sono i primi personaggi cattivi che ho interpretato e che mi tornano ora alla mente. Poi, ne ho interpretati anche di buoni come il Don Chisciotte, ad esempio!
[Interviene Giordano Luci, a cui estendiamo la nostra curiosità sui personaggi che hanno segnato il proprio percorso artistico e non]
Ultimamente mi capita spesso di interpretare personaggi cattivi e antagonisti che mi hanno arricchito tanto. In questo spettacolo interpreto il Suggeritore, che è una sorta di Virgilio che accompagna l’attore in questo suo viaggio. Suggeritore che interpreta anche un altro cattivo come Iago, personaggio molto impegnativo e terribile; per non dimenticare il ruolo di Hambert, antagonista dello spettacolo che spara più volte al protagonista per una sua vendetta personale; ma che si troverà a fare una fine (senza spoilarare naturalmente!) degna di un antagonista.
Esaurite le curiosità, concludiamo facendo un’ultima domanda. Da diversi anni è il Direttore Artistico della compagnia da lei stesso fondata, Teatro della Luce e dell’Ombra. Come si è soliti dire: un nome; una garanzia! È individuabile nella mission della compagnia un fil rouge con il focus drammaturgico di “Cattivi”?
Assolutamente sì! Come ti dicevo prima, c’è una poetica nostra di compagnia che cerchiamo di portare avanti da anni. Anche nella programmazione che noi abbiamo qui ai Magazzini Teatrali cerchiamo di rimanere vicini a quello che è il nostro modo di intendere e vedere il teatro. Quindi, una vera e propria poetica per cui il nostro spettacolo è sempre riconoscibile. E questo spettacolo credo sia una delle cose più riuscite negli ultimi anni perché siamo tre persone che si conoscono da tempo; che hanno condiviso tanto nel corso degli anni e che in questo spettacolo hanno cercato di dare anima e corpo cercando di attivare la macchina attoriale al meglio. Speriamo che il pubblico riconosca questo sforzo; ma sono sicuro che lo spettacolo piacerà perché abbiamo dato un ritmo, un impulso allo spettacolo che non dà tregua e trascina il pubblico in una sorta di vortice collegato all’incubo dell’attore. Quindi, sì, è in linea con tutto il nostro lavoro degli ultimi anni.
Il pomeriggio sta per volgere al termine ed è tempo di saluti con i nostri attori che si apprestano al consuetudinario filage. Così, incuriositi e travolti dalla loro potente “corrente elettrica”, non ci resta che attendere il debutto augurando loro il nostro più sincero In Bocca al Lupo!
Immagine di copertina: © Francesca Marino