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All’età di settantasette anni è morto l’uomo, la cui storia non ha solo dell’incredibile ma è la perfetta sintesi di quando la realtà supera la fantasia. L’uomo in questione è Mehran Karimi Nasseri, esule iraniano e residente, di fatto, al Terminal 1 dell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, Francia.

Diciott’anni passati dentro l’aeroporto parigino a causa di un’incredibile concatenazione di falle burocratiche che non gli permettevano né il rimpatrio né il soggiorno in altri paesi. Dopo anni di vagabondaggio tra il Regno Unito ed il Belgio alla ricerca della madre, “Sir Alfred” Mehran – così aveva deciso di chiamarsi – approdò illegalmente in Francia, dove scontò tre mesi di reclusione per clandestinità. Alla fine dei tre mesi, riprese a vagabondare e venne ritrovato nel medesimo aeroporto ma, non avendo documenti validi per l’espatrio, fu costretto a rimanere a vivere nella terra di nessuno.

Chiaramente la vecchia volpe Steven Spielberg, che meglio di qualsiasi altro regista conosce i gusti del suo pubblico, ne ha dato una versione del tutto americaneggiante in The Terminal, con un taglio divertente da commedia degli equivoci.

Dunque Tom Hanks – di nuovo nei panni di un incompreso e incomprensibile Viktor Navorski, più simile ad un Forrest Gump che ad un esule asiatico – tenta di barcamenarsi senza né lingua né soldi nella situazione più assurda per un viaggiatore: il tuo microstato satellite sovietico entra in guerra a causa di un colpo di stato mentre tu sei nel bel mezzo di un volo transatlantico e all’atterraggio il tuo passaporto non è più valido perché gli Stati Uniti non riconoscono la nuova forma di governo golpista. 

A quel punto si instaura l’ottimo presupposto per accalappiare l’attenzione dello spettatore medio statunitense e dunque la dinamica degli eventi si svolge nella classica tripartizione fallimento-amore-successo che ordina lo star system hollywoodiano.

Quindi prima Viktor subisce le angherie del personale dell’aeroporto, salvo poi diventare l’idolo indiscusso di inservienti, commessi di negozi ed addetti alla sicurezza. Nel mezzo, la storia d’amore impossibile con la bellissima hostess Catherine Zeta-Jones e infine il successo della sua personale missione a New York. 

È comunque da vedere perchè, pur essendo un autore americanissimo, Spielberg non si esime dall’inserire la sua vena ebraica drammatica, per cui non tutto è bene, ciò che finisce bene.

La cosa più curiosa però, al di là della pellicola in sè che non è certamente tra le migliori del pluripremiato regista, è la vera storia di Nasseri dopo l’uscita del film. Dopo aver clamorosamente dichiarato nel 1999 di non esser lui l’iraniano Mehran Karimi Nasseri – che ora avrebbe tutte le carte in regola per l’asilo politico – ma di essere invece l’apolide “Sir Alfred Mehran”, continuò a vivere in aeroporto fino al 2006 quando un’intossicazione alimentare lo costrinse ad essere ospedalizzato fuori dall’aeroporto. 

A causa delle sue precarie condizioni di salute venne trasferito definitivamente in una casa d’accoglienza pagata soprattutto grazie ai cospicui proventi ricevuti per i diritti del film. Dopo anni ed anni di anonimato, in questi giorni, si è appresa la notizia della sua morte per cause naturali.

Poche settimane prima era tornato a vivere al Terminal 2 dell’aeroporto Charles De Gaulle.

Si torna sempre dove si è stati costretti a stare.