Carlo Ragone, erede di un sorriso antico

Un grande ritorno – In occasione del debutto di Intestamè al teatro Lo Spazio (19-21 gennaio) riproponiamo la recensione dello spettacolo già pubblicata su Quarta Parete il 2 novembre 2022.

Carlo Ragone – il personaggio Carlo Ragone – nasce in teatro probabilmente nella seconda metà dell’Ottocento, insieme a una generazione di attori che, soprattutto a Napoli, ma anche a Roma, generarono, plasmarono, forgiarono la figura del Comico: da Gustavo De Marco a Maldacea, da Ettore Petrolini fino a Totò e tanti altri: con loro bastava la giacca di un vecchio frac per far sbocciare il fiore del sorriso nell’animo dello spettatore. Furono loro, ognuno creando una sorta di propria controfigura (la famosa macchietta), che rinnovarono il genere teatrale, inventando un tipo di spettacolo più popolare e disinvolto, l’avanspettacolo. Grazie a questi geni della comicità, infatti, il muro della quarta parete crollò dando maggior spazio alla ribalta che consentiva ai protagonisti della scena di superare il limite imposto dalla linea del sipario per avvicinarsi alla platea e stabilire un rapporto diretto col pubblico, fatto di empatie e piccole collaborazioni all’impronta.

Lo charme e la simpatia della macchietta hanno sempre mantenute accese le luci della ribalta nei momenti socialmente più difficili, perfino durante la guerra: la sua verve sorregge e infonde buonumore nella popolazione, soprattutto quando questa sente la necessità di sorridere. Così quel teatro, grazie a suoi personaggi che ebbero il privilegio di non appartenere troppo alla crudele realtà spesso opprimente, divenne sinonimo di sorriso, di divertimento, di spensieratezza. Ed è per questo che s’andava a teatro per ridere, per ritrovare la serenità di un istante e scacciare l’angoscia che periodicamente perseguita l’umanità.

Evidentemente oggi Ragone avverte la nostra necessità di ritrovare un sorriso, sente il bisogno di soccorrerci per ridare la speranza a una società che vive ormai da tempo in stato di disgrazia e per questo ha scelto il vestito delle cerimonie, nero ed elegante, come quello di Totò, di Petrolini, di De Marco, e quel personaggio è tornato in teatro per regalarci il sorriso di cui necessitiamo anche oggi, dopo un lungo periodo di clausura che ci ha colti tutti impreparati, costringendoci a intristirci tra lo schermo del cellulare e il video della televisione. Invece lui, dal palcoscenico propone Intestamè, una deliziosa carrellata di comicità e di malinconie, di suggestioni, di belle canzoni e di frivoli lazzi, senza mai abbassarsi in volgarità.

Ragone tiene la scena per oltre un’ora in compagnia di quattro affiatati musicisti con i quali, oltre a cantare, dialoga in sberleffi e all’occasione anche con qualche rumore di natura prettamente partenopea. E Napoli diventa la culla delle sue creature immaginarie e delle loro vicissitudini a volte strampalate: «E ‘nce ne costa lacreme sta Napule a nuie americane», dice l’emigrante storpiando la famosa canzone di Bovio. Poi c’è Santoro, un improbabile attorucolo del Trianon di Forcella; Mimmo Vranca che ruba le note a Mackie Messer; l’intrepido bersagliere che gioca con la luna; e Matteo che s’innamora di Caterina nel regno che non c’è.

Sono tutti personaggi comici, figli di una poesia d’antan, che sopravvivono nella testa di Ragone: «in testa a me», sembrerebbe suggerir l’autore; ma anche «in testamento». Infatti, sono personaggi ereditati che arrivano dal passato. Non a caso si comincia con un padre che elenca i suoi lasciti agli eredi, scansando volutamente ogni donazione al proprio figlio Ferdinando a cui lascia «tutto chello ca nun aggio fatto», tutto quel che non ho fatto. Ed è proprio lo «sciagurato» testamento che riceve Ferdinando a dar vita ai personaggi che Ragone interpreta. Solo alla fine – dopo che il pubblico ha riso e goduto delle performance comiche e canore del bravissimo Carlo – il vecchio padre ricorda a Ferdinando che per vivere bene, non occorre una grossa eredità danarosa, ma soltanto la forza di un sorriso: quello che nasce in ribalta dalla maestria di un uomo in frac, elegante, malinconico e talvolta assente, come si addice ai comici di una volta.

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Intestamè, di Carlo Ragone e Loredana Scaramella, con Carlo Ragone; e con le musiche dal vivo di Stefano Fresi: Adriano Dragotta (violino), Daniele de Seta (chitarra), Alessandro Luccioli (percussioni), Stefano Marzolla (contrabasso). Teatro Vittoria, fino al 6 novembre.