“Capitano Ulisse” chiude la Trilogia dell’Avanguardia della Compagnia Hangar Duchamp

Un Ulisse umano, anti-eroe, incapace di fare ordine tra le sue turbe sentimentali. Capitano per titolo acquisito ma confuso, debole. Una nostalgia vagante, in balia tra le onde del suo passato. La sua mente è circondata da lacci e catene, sembra la cella di un carcere. Fa da sfondo per la scenografia di un suggestivo spettacolo che Teatro Trastevere ha ospitato dal 6 al 10 aprile.

Con Capitano Ulisse la Compagnia Hangar Duchamp ha chiuso la Trilogia dell’Avanguardia. Un balzo dritto nella metafisica di Alberto Savinio, dopo il dadaismo de “Il Cuore a Gas” di Tristan Tzara e le ascendenze surrealiste con “Le Mammelle di Tiresia” di Guillaume Apollinaire.

Coraggiosa e vinta a mani basse la sfida del regista Andrea Martella. Che prende in mano il testo di Savinio, scritto nel 1925 per il Teatro d’Arte di Pirandello, e ne estrae una riduzione che concentra il disagio di un personaggio che è alter ego rispetto a Odisseo. E’ disorientato, il condottiero acheo, viene richiamato al suo compito dall’energico, fiero marinaio Eurinoco e dalla Dea Minerva. Ma i suoi pensieri sono da un’altra parte.
Uno spettatore, seduto in prima fila, si alza e attraversa i secoli per raggiungerlo in scena. Porta con la sua valigetta una dose di sottile ed inaspettata comicità. Lo fa sedere, lo scuote, ma Ulisse non reagisce. Svuotato, sfiancato, in totale confusione. Viene preso di petto, accusato, a un certo punto incatenato da Minerva.
Prima ancora risponde, nella prigione delle emozioni, alle accuse e alle domande rivolte dalle tre donne della sua vita. Dapprima imbavagliate, poi a turno e a vicenda si liberano. Sono Penelope, Calipso, Circe. Capricciose, materne e gelose. Nervose, cariche come molle. Perse, tutte e tre, per Ulisse che le affronta. Una ad una, senza riuscire a distinguerle. Ne è infatuato, ma nulla più. O forse sì, ma non lo sa.

Nell’aria si diffonde dolore e rancore. In diffusione il rumore delle onde lascia spazio a timbri cupi. Lui, Ulisse, ha perso per strada la linfa che alimentava il suo eroismo: l’amore.  Senza amore non è più eroe, è umano e pieno di goffe incertezze. Quasi ridicolo, in certi passaggi. Tutt’altro che invincibile. L’Ulisse di Savinio, presentato da Martella, è precipitato in un mondo onirico, nebuloso, che pare un incubo. Inciampa sui propri difetti, ma ad ogni modo, pur con moltissima fatica, lotta. Per portare a termine il proprio viaggio.

Metafisica e corporalità, tensione viva sul palcoscenico. Lo scenario risulta dall’inizio alla fine fortemente espressivo. Bravissimi tutti gli attori di Hangar Duchamp: Flavio Favale (Ulisse), Walter Montevidoni (Euriloco), Simona Mazzanti (Circe) Vania Lai (Calipso), Giorgia Coppi (Penelope), Martina Brusco (Minerva),  Vincenzo Acampora (lo Spettatore).
Menzione anche per i tecnici: lo scenografo Mattia Urso coadiuvato all’allestimento luci da Mauro Boninfante e da Attila Mona per il sonoro.

Il pubblico, che da due anni attendeva questo spettacolo, ha risposto alla grande garantendo sold-out per tutte le serate di cartellone al Trastevere.

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