“Il birraio di Preston” torna sul palco, rimanendo fedele a una storia intricata ma sempre brillante
Non poteva che debuttare in Sicilia Il birraio di Preston, versione teatrale del romanzo di Andrea Camilleri pubblicato nel 1995. La prima al Teatro Al Massimo di Palermo, lo scorso il 21 febbraio. In realtà, più che che un debutto, un ritorno in grande stile. Non stiamo parlando solo di una trasposizione teatrale, ma dell’adattamento curato dall’autore stesso in collaborazione con Giuseppe Dipasquale e rappresentato per la prima volta al Teatro Stabile di Catania nella stagione 1998-1999. Ed è proprio Dipasquale che torna oggi con una compagnia di fuoriclasse, a riportare in vita una gemma perduta, forse a torto messa in ombra da una saga ben più celebre dello stesso autore.
La storia è cronologicamente lontana dai casi memorabili del commissario Montalbano, quelli che valsero allo scrittore di Porto Empedocle buona parte della sua fortuna; ma rimangono intatte la lingua, consueto impasto italo-siculo ormai inconfondibile, la stessa ambientazione e la stessa rivalità campanilistica (o meglio, una versione di essa naturalmente accentuata dal contesto storico) tra le dirimpettaie città di Vigata e Montelusa, quest’ultima odiatissima dai vigatesi, in quanto capoluogo amministrativo della zona ed espressione di uno Stato che impone prima ancora di chiedere.
Spiega il regista, “Come ormai sembra essere chiaro nello stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per sé stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era una volta” dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo essere ‘fanciullino’ è il motore dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura del romanzo, la scoperta dell’unica grande tragedia che incombe su Vigata; le altre saranno come delle ipotragedie, in questa contenute, e da questa conseguenti. Ossia lo spaventoso incendio che nell’originale struttura narrativa costituisce l’inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto.”
Espedienti metateatrali, dinamismo dell’azione, attori dalla vocazione trasformista e una trama ramificata come l’edera sui vecchi muri: Il birraio di Preston non dà tregua, tra piani temporali diversi e convergenti, scatole cinesi narrative che si aprono e richiudono e cambi emotivi improvvisi, quasi surreali. La forza di un’opera che ha l’ambizione di condensare tante sfumature umane in un piccolo spazio, quello di una comunità dove le vite dei singoli non si annullano mai in una sola vox populi. Ai personaggi principali come a quelli secondari viene data pari dignità, e nessuno “si mangia la scena”. Sono tutti protagonisti, in un modo o nell’altro. Dall’ambiguo Don Memè Ferraguto (Mimmo Mignemi) alla giovane vedova (Federica De Benedittis) intenta a raccontare le sue avventure licenziose a suon di metafore marinaresche. Dal testardo prefetto Bortuzzi (Paolo La Bruna) al teutonico genio incompreso dell’ingegnere minerario (Edoardo Siravo, anche nelle ottime vesti di narratore onniscente).
Ciascuno ha la propria ragione (e la propria verità, direbbe Pirandello). Tutti però concordano su una cosa: i problemi sono arrivati grazie ai forestieri -ricordiamoci che siamo nel 1874, in un’Italia appena adolescente- e dai forestieri verranno espiati. Solo così tutto potrà tornare alla normalità, una normalità fatta di gioie, dolori, prepotenze, bizzarrie, tresche extraconiugali e drammi da romanzo d’appendice.
Notevole la prova degli attori, ognuno dei quali interpreta agilmente due, tre personaggi diversi, anche in scene consecutive. Il ritmo è sostenuto e il livello interpretativo è alto. La complessità di realizzazione di un’opera del genere è evidente anche ad un occhio inesperto. Sorprende, nel corso del lungo applauso finale, scoprire che i componenti del cast non sono quaranta ma una dozzina scarsa. In scena sembrava ci fosse un’intera cittadina. Non è perciò un dramma se qualcuno di loro non sia stato perfettamente preciso nell’usare una cadenza regionale non propria: in questo coloratissimo mosaico umano c’è spazio per tanti personaggi-tipo, provenienti da diversi angoli d’Italia e non solo. Il birraio di Preston è tutto ciò: commedia dell’arte, arguta farsa metateatrale, dramma neoverista, brillante racconto di costume, parodia sarcastica. In poche parole, è Andrea Camilleri al 100%.
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Il Birraio di Preston – Regia di Giuseppe Dipasquale – Tratto dal romanzo di Andrea Camilleri – Riduzione teatrale di A. Camilleri – G. Dipasquale – Con Edoardo Siravo, Federica De Benedittis e Mimmo Megnemi Teatro Al Massimo di Palermo dal 21 febbraio al 1 marzo 2025 –