Carmelo Bene aveva 22 anni quando interpretò il personaggio di Caligola scritto da Albert Camus. Era il 1959 e (racconta nella sua biografia) per ottenere i diritti di rappresentazione dovette incontrare personalmente l’autore che aveva ritirato la commedia dopo aver visto una disastrosa rappresentazione nel 1947, interpretata niente di meno che da Renzo Ricci e diretta dal venticinquenne Giorgio Strehler che recitava nella parte di Scipione. Pare che Camus, non riconoscendo in quell’allestimento le intenzioni di scrittura, si fosse talmente infuriato da togliere ogni autorizzazione; persino a Laurence Olivier che aveva richiesto il copione proprio in quello stesso periodo.
Si può ben intuire il motivo della ribellione dell’autore che voleva così proteggere la sua opera. Nel 1947, l’esistenzialismo ateo («la mia essenza è il mio corpo» che si contrappone al cartesiano «cogito ergo sum») era nato da poco, così come da poco era finita la guerra, e la nuova teoria filosofica ancora non s’era potuta diffondere. Inoltre, un concetto come quello espresso da Gabriel Marcel non poteva essere compreso da tutti, in così poco tempo. Chiaro che anche un genio del teatro come Strehler e un attore del carisma di Ricci potessero aver preso un granchio! Soltanto qualche anno più tardi, infatti, la critica teatrale, quella degli accademici, si rese conto che Sartre, Anouilh e Camus trasferirono nell’arte drammatica il pensiero esistenzialista, rimasto fino ad allora materia prettamente filosofica. Tuttavia noi, ieri sera, abbiamo assistito, al teatro Ghione, a una commedia; e quindi la teoria ideologica ci interessa relativamente, ma dobbiamo pur sapere che le parole scritte da Camus provengono da un contenuto filosofico derivato dalla vita e che, grazie al palcoscenico, alla vita ritorna restituendo un fatto artistico.
L’idea che Camus vuol far intendere nel suo Caligola (1944) è dimostrare che nulla a un uomo è impossibile. Il personaggio di Caligola è preso a pretesto perché ha tutte le caratteristiche di un «bambino viziato» che può uccidere chiunque, può praticare l’incesto, può bestemmiare gli dèi, può approfittare pubblicamente delle mogli dei suoi amici, senza che nessuno si possa opporre, e può anche chiedere la luna, e ottenerla, se poi, come dice, l’ha addirittura posseduta. È in questa affermazione che si condensa il senso della tragedia di Camus. Tragedia umana, tragedia, appunto, esistenzialista, in cui l’estasi della beatitudine va ricercata nella solidità delle cose e non nella vana compattezza dei sentimenti. Infatti, lo stesso imperatore, stufo della sterilità dell’esistenza nella quale «vivere è il contrario di amare», annuncia la felicità globale, prevedendo che, quando l’impossibile trionferà, anche gli uomini non moriranno più e potranno finalmente godere della spensieratezza.
Camus tenta di difendere il suo eroe che ha creato volutamente folle e che la follia stessa ha relegato tra gli antieroi, e nonostante sia lui il padre di questo «bambino viziato», non riesce nel suo intento. Caligola muore ucciso dal padre: ossia, l’autore. È evidente che i virtuosismi pirandelliani echeggino in tutto il teatro del Novecento e contaminino anche quelle teorie filosofiche che trasportate sul palcoscenico hanno necessità di appoggiarsi su una solida struttura drammaturgica e innovativa. Non solo, ma in alcuni passaggi letterari si avverte chiaramente anche l’influenza del «rivale» Ionesco: ed è anzi, molto funzionale il rapporto che Camus costruisce tra la follia e l’assurdo.
Ma queste sono soltanto intellettuali teorie teatrali, effimere sensibilità registiche, di uno spettacolo che non abbiamo visto e che invece ha offerto soltanto una grottesca esibizione molto frivola e assai colorata dell’insensatezza: una visione talvolta carnascialesca, piena di ventagli e movenze artificiose e spagnoleggianti, che riflettono l’esatto contrario del pensiero di Camus. Un allestimento che, direbbe Sartre, più dell’«essere» ruota intorno al «nulla».
Carmelo Bene aveva 22 anni quando interpretò il personaggio di Caligola scritto da Albert Camus. E sul manifesto dello spettacolo il suo nome era «Carmelo Bene jr.», come se i suoi dubbi sull’operazione gli suggerissero di apparire, per la prima volta davanti al pubblico, non come «qualcuno», ma più discretamente come «figlio di qualcuno». Gennaro Duccilli, invece, a quasi 70 anni, pare giustamente non aver più dubbi ma solo certezze, tanto che sul manifesto il suo nome trionfa perfino su quello di Camus.
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Caligola di Albert Camus. Con Gennaro Duccilli, Paolo Ricchi, Maurizio Castè, Eleonora Mancini, Giordano Luci, Maria Angelica Duccilli, Fabrizio Rinaldi, Lorenzo Petrucci, Gianfranco Draicchio, Antonella Sciotti, Giorgia Pruiti, Chiara Natalizia, Isabella De Cesaris, Matteo Rancadore. Scene di Sergio Gotti, costumi di Giulia Cilia, luci di Antonio Accardo, regia di Gennaro Duccilli. Teatro Ghione, fino a domani 15 aprile