Bros e la trasfigurazione della Legge

Che straordinario cataclisma riesce, ancora una volta, a provocare Romeo Castellucci nelle coscienze, ora risvegliate e ora e per sempre annichilite, di quanti assistono alla sua esaltante creazione demiurgica!

La sua modalità di fare regia o, per meglio dire, la sua vocazione alla regia, è superomistica al punto da farne quasi un pericoloso Anticristo che riduce l’uomo alla sua più nuda e crudele violenza. Uno spettacolo che non desidera più rimanere intrappolato nell’alveo rassicurante della finzione, ma che pretende – qui e ora – di farsi evento. Una moltitudine di richiami cristologici si fondono e sovrappongono nella tetra atmosfera del tempo presente; quello in cui Roma, per esempio, attende tutta blindata la venuta di un piccolo dio della guerra come Netanyahu.

Non c’è tempo da perdere, perché il tempo dell’attesa dell’entrata in scena si esaurisce immediatamente in una puntualità dell’inizio che non è borghese, ma anti-spettacolare; non si richiede garbatamente l’attenzione del pubblico, ma lo s’impone. E come? Una macchina infernale – a metà tra un’arma di distruzione e l’ultimo prodotto uscito sul mercato capace di acquisire volti e sottrare informazioni al pubblico – ci introduce a quella che qualcuno, in un ambito sì diverso ma non poi così lontano, ha definito, ben oltre il concetto di metaverso, una “metarealtà finzionale”. E se questa espressione del giurista Ventura è frutto di una riflessione sul fondamento del diritto e sul suo intrinseco funzionamento, altrettanto vero è che ciò intorno a cui ruota per buona parte “Bros” è proprio il problema della Legge. Una Legge di cui stanno a difesa schiere potenti di uomini in divisa, unite e improvvisate, incarnate da attori di professione e ‘di strada’ vestiti da poliziotti statunitensi. Una legge non solo laica, bensì intimamente legata al divino e, se vogliamo, al superamento stesso della Legge che è proprio del paradigma paolino e che sconfina tipologicamente – e, quindi, in maniera spesso e volentieri assai enigmatica – in vera e propria cristologia.

Una perversione del pensiero coglie di sorpresa l’erudito e un aggrovigliamento viscerale del corpo chi di quell’erudizione, per scelta o per pigrizia, si libera più facilmente: e se, per caso, il cattolicesimo non fosse stato ancora pienamente digerito e secolarizzato dalla nostra società post-moderna?

Ad ogni modo, l’accesso a questo mondo spettrale è affidato a un profeta (lo straordinario Valer Dellakeza). L’influenza di Artaud – che secondo un filosofo concittadino di Castellucci, Leonardo Lugaresi, sarebbe piaciuto persino ad Agostino – interviene in maniera preponderante nel suo discorso oscuro, proferito nella luce intermittente di una Grazia artificiale; tanto che, di lì in avanti, tutti gli elementi luminosi che interverranno nel disegno registico di Castellucci non potranno che essere filtrati dalla nebulosità concreta di una fitta coltre di fumo da petardi, dalla nebulosità fittizia di un senso smarrito che è proprio del nostro presente.

Quello di Castellucci è, a tutti gli effetti, un discorso iniziatico che porta con sé una riflessione sul presente della nostra società e sui destini dell’arte performativa ma anche, se vogliamo, sul nostro, più o meno diffuso, bisogno di trascendenza. Ma quella parola profetica, che s’avvale del passato per intravedere il futuro, appare anche come un antico presagio di morte. Non solo, perché di lì in avanti a dischiudersi sarà uno fosco scenario apocalittico fatto di schiere di poliziotti in divisa, del sacrificio e al contempo dell’esaltazione dell’anziano profeta ma perché, innanzitutto, quella di Castellucci si presenta come una ‘metafisica della luce’ in un mondo in cui, però, la luce non riesce più a irradiare le cose, in cui a campeggiare al centro della scena non è che il terrore.

Ancor di più, è come se la morte, in qualche misura, intervenisse sempre e costantemente anche nell’atto della nascita dell’umanità e della creazione, perché a ben vedere, in quel bisogno di rinnovamento e di apertura verso il futuro proprio della profezia, Castellucci, anziché scorgere speranza, denuncia uno scorato intervento della corruzione.

Un Terrore nell’aria, per dirla con Sloterdijk, in cui più o meno protagoniste della scena divengono delle imponenti bombole di gas: lo spettatore dovrà attendere un po’ prima di vederne sprigionato il contenuto. C’è molto, in fondo, in Castellucci non soltanto della cristologia nostrana ma anche di quella più a Est: l’uso un po’ tarkovskijano e un po’ furbescamente postmoderno del latte e l’acqua come presagio sì della vita ma anche della morte, perché se noi popoli mediterranei siamo abituati a sovrapporre l’immagine dell’acqua con quella del mare e della vita; altrettanto, il flusso inesorabile dei paesaggi fluviali, nei rigidi inverni a est dell’Europa, non portano con sé che desolazione.

E nondimeno, in “Bros” c’è anche il già visto di Castellucci – penso all’uso della nudità, della violenza in scena, di quell’elemento irrazionale, della cristologia – che trova, tuttavia, il suo vertice più alto e la sua dimensione più autentica nella raffinata drammaturgia sonora di Scott Gibbons, nello scuotimento che provoca, nella perizia tecnica che si fa pienamente Arte.

In questo inno biblico alla fratellanza – non tanto nel senso confessionale del termine, quanto nel problema aperto che ancora oggi in noi suscita la vicenda di Caino e Abele – il “Bros” di Castellucci sembra sì tendere verso un riscatto tutto ‘agapico’ (agape è caritas, ovvero amore), in cui al centro sta l’amore per il prossimo, per la purezza, per il piccolo Cristo (Filippo Fermini) che con i suoi piedini minuti, tenerissimi, nudi usurperà a tutti la scena. E, nondimeno, ad affacciarsi c’è anche una questione ben più complessa e affatto banale che riguarda in profondità il problema della secolarizzazione e che invita a riflettere su che valore siamo disposti a riconoscere alle parole di amico e nemico – anche perché questo non è uno spettacolo che crea necessariamente consenso tra il pubblico!

Scrive Carl Schmitt – il campione tedesco e cattolico della secolarizzazione – nel celebre Il concetto di «politico» che «Amico è quindi originariamente solo l’amico di sangue, il parente di sangue o “colui che è stato fatto parente”, per il mezzo di matrimonio, di fratellanza giurata, di adozione o di istituti di genere».

E, infatti, in questo spettacolo dedicato alla fratellanza ‘amputata’, vivisezionata, trasvalutata, l’amico-fratello – alla stessa identica maniera di come avveniva nel libro della Genesi per Caino e Abele – si è trasformato in assassino. In conclusione, vale la pena citare il filosofo Daniele Guastini che dedica, in un suo breve saggio dal titolo Philia e amicizia, una riflessione a Schmitt su questi temi sostenendo che l’originario concetto di philia che rappresentava in Grecia e a Roma un valore essenziale “per la teoria e per la prassi politica”, è “andato incontro a una fatale deposizione”. Ma vero responsabile di questo stato di cose non sarebbe che il cristianesimo, incapace di tollerare la razionalità e la distanza proprie di quel legame tutto antico e greco della philia, preferendogli un amore totale, privo di nascondigli, irrazionale e, quindi, promotore persino di inimicizia, anzi, forse soprattutto, di inimicizia.  

Bros – Teatro Argentina dal 9 al 12 marzo

concezione e regia Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
collaborazione alla drammaturgia Piersandra Di Matteo
assistente alla regia Silvano Voltolina
scrittura degli stendardi Claudia Castellucci
con Valer Dellakeza e con gli agenti Luca Nava, Sergio Scarlatella e con Giovanni Antonini, Filippo Bracci, Sandro Calabrese, Sergio Casini Davide Cherstich, Nicola Ciaffoni, Marcello Di Giacomo, Stefano Donzelli, Gabriele Ferrara, Francesco Gentile, Damjan Gomisel, Pietro Lancello, Alessandro Mannini, Mauro Mercatali, Michele Petrosino, Lorenzo Picca, Danilo Rubich, Nicolas Sacrez, Piergiorgio Maria Savarese, Fabio Sinnona, Carlo Suppressa, Andrea Vellotti, Vincenzo Vennarini, Luigi Vilotta e con il piccolo Filippo Fermini.

Societas in co-produzione con Kunsten Festival des Arts Brussels, Printemps des Comédiens Montpellier 2021, LAC Lugano Arte Cultura; Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène Européenne, Temporada Alta 2021, Manège-Maubeuge Scène nationale, Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes, MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis; Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale, Ruhrfestspiele Recklinghausen, holland Festival Amsterdam, Triennale Milano Teatro, National Taichung Theater, Taiwan

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