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“Bolle di sapone” al Teatro Le Maschere: la recensione

di Miriam Bocchino

 

È in scena fino al 7 novembre al Teatro Le Maschere lo spettacolo “Bolle di sapone” del regista e autore Lorenzo Collalti, interpretato da Grazia Capraro e Daniele Paoloni.

L’opera racconta con finta leggerezza e ironia l’incontro tra due persone: esseri umani fragili e intimoriti dall’esistenza che vivono la vita intrappolati in un mondo quasi immaginario, protetti dalle emozioni come se fossero dentro “bolle di sapone”.

Lui e lei, i loro nomi non si conosceranno mai, sono raccontati dagli interpreti come “personaggi che non hanno nulla di speciale” fuorché manie, ossessioni e nevrosi quotidiane che li allontanano dal contatto emozionale e fisico con gli altri.

Lui è ossessionato dai germi e dalle malattie che si diagnostica quotidianamente su internet. Il timore dei batteri lo spinge a lavare ogni lunedì alla stessa ora i suoi abiti in lavanderia. Rimane a osservare il ciclo di lavaggio fino al sopraggiungere della centrifuga quando sceglie di rifugiarsi fuori, seduto nella panchina a destra del parco.

Lei, appartenente a una famiglia di fornai ma intollerante segretamente al glutine, ogni lunedì dà il suo pane ai piccioni del parco, seduta nella panchina a sinistra.

Due universi paralleli che non si incontrano finché la panchina diviene una. Cosa fare? Rivolgersi la parola o tacere?

La difficoltà di inserimento sociale di cui entrambi soffrono crea una barriera che, tuttavia, ha una crepa.

Quando, pur non parlandosi, lui e lei percepiscono la presenza dell’altro le paure e i timori emergono: la curiosità è afflitta dalle domande mentre l’aspirazione al cambiamento inconsapevolmente incomincia ad affiorare.

“Bolle di sapone” è uno spettacolo semplice nella messinscena e nella narrazione, che, tuttavia, riesce a divenire interessante grazie all’interpretazione degli interpreti.

Grazia Capraro e Daniele Paoloni danno vita a un racconto bizzarro, divertente e ironico.

Alcune scene riescono a suscitare nel pubblico una grande ilarità. Come non ridere, infatti, quando lui narra il ciclo di lavaggio e la grande babilonia che vivono i calzini di cotone all’interno dell’elettrodomestico?

La babilonia degli indumenti e l’impossibilità per l’uomo di assistere alla centrifuga sono metafora del suo timore dell’esistenza e del contatto con l’altro. Quando la vita incomincia a “mischiare” le carte, come un lavaggio in lavatrice, l’esigenza di fuggire diventa impellente e difficile da contenere.

“Bolle di sapone” è un’opera gradevole che avrebbe probabilmente bisogno di una maggiore analisi del testo per essere “sviscerata” nelle sue potenzialità.

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