Fortuna che esiste ancora qualcuno capace di guardare dentro il disordine disperato delle nostre metropoli e scorgere cristalli di umanità, restituendoceli in forma di narrazione profonda, colta ma brillante, un occhio attento all’esplorazione dell’intimità di due ragazzi qualunque, ma senza mai perdere di vista le esigenze della drammaturgia e della spettacolarizzazione, per quanto minimalista.
Questa è l’impressione che si ricava dopo la visione dello spettacolo “bolle di sapone” scritto e diretto da Lorenzo Collalti: da subito si viene accolti da una scrittura di valore e da una recitazione a effetto incatenato, laddove le battute di un dialogo serrato tra i due giovani protagonisti, un ragazzo e una ragazza che restano privi di nome -come accade fatalmente nelle nostre anonime periferie urbane- se le suddividono i due sulla scena (i bravissimi Grazia Capraro e Daniele Paoloni ), creando un divertente effetto dinamico.
C’è spazio per un prologo e per un epilogo in questa narrazione, dove ad essere importante non è tanto il plot narrativo, quanto l’immersione psicologica in due figure tenere e impacciate, si direbbe “ a scomparsa” nella realtà cittadina, che si ritrovano puntualmente a dividersi una panchina all’interno di uno sbeccato parco pubblico. Nel prologo i due protagonisti si rivolgono direttamente al pubblico, dichiarando subito l’esilità del racconto che si avviano a compiere, perché fragili e irrilevanti sono le rispettive esistenze dei due personaggi, senza niente di particolarmente significante da meritare il podio narrativo.
Eppure c’è tanto da dire e da osservare in queste due vite: le idiosincrasie di lui (che si rifugia dentro la metodica e leggermente patologica osservazione di una lavatrice a gettoni, protetto da una altrettanto maniacale ipocondria) i sogni e le fantasie letterarie di lei. Entrambi in qualche modo a un certo punto costretti a misurarsi con la presenza dell’altro, nel tentativo –vissuto più come obbligo di circostanza che come tensione autentica- di coniugare al duale quella loro spiccata vocazione alla solitudine. Se riuscirà o meno quel tentativo è cosa che sembra affidata solo a una banale curvatura del destino, ma, d’altra parte, ci sono esistenze fragili e volatili come bolle di sapone, più facili da osservare con tenerezza che da condividere nel volo.
Semplici e non invasive le soluzioni scenografiche (scene e costumi di Silvia Romualdi) ridotte al servizio essenziale della narrazione che si gode nella interezza delle sue sfumature, grazie a una regia misurata, ma capace di evidenziare sempre sotto una luce ironica i diversi passaggi narrativi.