Il 31 ottobre del 1975 veniva pubblicato il celebre brano dei Queen, che oggi vogliamo ricordare con il nostro personale omaggio
“Is this the real life? Is this just fantasy?”
Sfideremmo qualunque persona al mondo a non riconoscere una delle intro più famose ed iconiche della storia del rock: e proprio quel brano il 31 ottobre di quest’anno compie 50 anni. Portati benissimo, oseremmo aggiungere.

1985 – Live Aid
E’ infatti il 31 ottobre del 1975 quando i Queen pubblicano il singolo che anticipa il loro quarto album in studio, A Night at the Opera (uscito circa un mese dopo, il 21 novembre dello stesso anno), e subito Bohemian Rhapsody si impone nelle classifiche mondiali a suon di record: già a gennaio del 1976, neanche tre mesi dopo la sua pubblicazione, vende oltre un milione di copie, riuscendosi a garantire continui passaggi in radio a dispetto della sua durata tutt’altro che “radiofonica” (parliamo di un pezzo di circa 6 minuti, con una struttura articolata e unica per l’epoca). E nonostante il tempo trascorso continua a macinare numeri impressionanti: per dirne una è stata classificata come la canzone incisa nel XX secolo più ascoltata di sempre sulle piattaforme streaming (raggiungendo 2,5 miliardi di riproduzioni).
Un testo complesso, quasi fumoso (integralmente scritto da Freddy Mercury), con continui riferimenti mistici e religiosi, una struttura armonica tutt’altro che semplice – l’inizio con il celebre coro a cappella, seguito da una ballata cui fa eco la chitarra, una terza parte che ricorda una partitura d’opera, seguita infine da una sezione tipicamente hard rock che si conclude con una outro piano e chitarra – accompagnata da melodie comunque orecchiabili e catchy; questi sono stati gli ingredienti vincenti di questo brano senza tempo, che ha influenzato e influenza ancora oggi band e artisti di tutto il globo (per fare solo un esempio, nel celebre album American Idiot dei Green Day, ci sono due piccoli “gioielli” da circa 8 minuti ciascuno – Jesus of Suburbia e Homecoming – evidentemente ispirati da Bohemian Rapsody, per stessa ammissione del frontman Billie Joe Armstrong).
Dietro quella complessità c’era stato un lavoro maniacale: più di tre settimane di registrazioni, oltre 180 sovraincisioni vocali, un montaggio di nastri che – raccontano – aveva richiesto manipolazioni (tagli e incollaggi fatti a mano), fino all’usura. In studio, i Queen scherzavano dicendo che Bohemian Rhapsody stava distruggendo il nastro come un buco nero. Ma quando il brano fu terminato, tutti capirono che stava per cambiare la storia del rock.
E pensare che, nonostante tutto, Bohemian Rhapsody ha rischiato di non vedere mai la luce. Quando Freddie Mercury la presentò ai discografici, molti storsero il naso: sei minuti di melodramma senza un ritornello, un patchwork di stili e tempi che nessuno sapeva come catalogare. “Nessuna radio la trasmetterà mai”, dissero. Ma Mercury non indietreggiò di un millimetro: fece ascoltare il brano a un amico dj, Kenny Everett, che lo passò in radio quasi per scherzo (quattordici volte in due giorni).
E poi c’è il videoclip, girato in sole quattro ore con un budget irrisorio: l’ombra dei volti illuminati dal basso, l’immagine quadrata che si apre come un sipario, espressione di un’intuizione visiva che anticipò l’era di MTV e trasformò per sempre il modo di “vedere” la musica.

Freddy Mercury nel 1986 alla Wembley Arena di Londra ©PerSempreNews
E allora buon compleanno a Bohemian Rhapsody, che a cinquant’anni suonati ci ricorda ancora come si fa la rivoluzione, almeno della musica.
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Bohemian Rhapsody – dall’album A Night at the Opera – prodotto da Queen e Roy Thomas Baker – EMI – 1975





