Il duo Perrozzi & Salvatori, insieme ad Elisabetta Tulli e diretti da Vanessa Gasbarri, porta in scena un vero cult teatrale: Ben Hur, una storia di “ordinaria periferia di Gianni Clementi, autore del testo. Uno spettacolo già interpretato con successo e portato in scena precedentemente da Nicola Pistoia, Paolo Triestino ed Elisabetta De Vito.
Un trio di attori pregiati, una sapiente regista, un drammaturgo eclettico: gli ingredienti per uno splendido spettacolo ci sono tutti. La trama ci porta nella Capitale, una Roma che accoglie ma che nello stesso tempo, respinge. La storia intrecciata di tre anime perse: Sergio, Maria e Milan, i quali uniscono le loro forze per sopravvivere in un mondo forte con i deboli e che lascia affondare i più deboli ma i tre personaggi costruiscono un ponte galleggiante che li sorregge, li sostiene, alternando momenti di comicità e commozione che lasciano lo spettatore senza fiato. Davvero una narrazione tutta da seguire
Andrea Perrozzi interpreta Sergio, furbo ed ipocondriaco, uno stuntman caduto in disgrazia, infortunato e in attesa di un risarcimento che per sbarcare il lunario si trova costretto a posare per i turisti in visita al Colosseo nei panni di un antico centurione romano. Separato, senza denaro e con figli, chiede aiuto a sua sorella Maria, anch’essa separata, donna depressa e disillusa interpretata da Elisabetta Tulli. Anche sua sorella per arrotondare, lavora in una chat erotica. A ribaltare la vita dei due fratelli è l’arrivo di Milan, un eclettico ingegnere bielorusso, interpretato da Alessandro Salvatori che per mandare i soldi alla sua famiglia, si arrangia a far tutto, anche e non solo a sostituire Sergio nel ruolo di centurione. Attori pregiati ed istrionici, con la sapiente regia di Vanessa Gasbarri (ha firmato la regia di una serie di commedie teatrali accolte sempre da grande successo e consenso di pubblico e critica) e la penna sagace di Gianni Clementi, drammaturgo romano, il quale ci ha abituati al linguaggio emozionale, alla freschezza ed all’attualità delle sue commedie, trame che si muovono tra ironia e battute bonarie ma che celano le sofferenze, i vuoti, i drammi e le situazioni di tutti i giorni.
Abbiamo raggiunto ed intervistato la regista Vanessa Gasbarri che mette in scena con passione, talento e dedizione, un testo che è diventato negli anni un vero cult del teatro romano; la sua regia tiene ben saldo il registro utilizzando un linguaggio popolare, vero, un linguaggio “basso”, divertente, come ci racconta:
In “Ben Hur” viene affrontato il tema dell’immigrazione e del razzismo in modo nuovo e brillante, con quale sguardo da regista affronta un tema così caldo ed attuale e come fa muovere, con quale linguaggio i personaggi in scena?
A me piace lavorare con l’attore sulla costruzione del personaggio facendone in prova una vera carta d’identità: chi è? da dove arriva? quale è il suo passato? A chi si rivolge? Come parla all’altro? Ha dei tic? Ha delle particolarità fisiche e/o morali? A cosa ambisce? Quindi se il tema è quello del razzismo queste domande saranno articolate soprattutto verso questo argomento.
Quale linguaggio utilizzano i personaggi in scena?
Un linguaggio basso, popolare e caratterizzato dall’accento romano per quanto riguarda Sergio e Maria, Milan invece attraverserà diverse fasi: da neofita a conoscitore della lingua italiana con un divertente accento russo/romanesco!!! Il linguaggio apparentemente semplice in realtà nasconde una grande difficoltà per l’attore, quella di lavorare ad una partitura musicale che risponda ad un suono ma non sia cantata.
L’Italia è un Paese razzista?
Direi che la nostra grande ed antica storia ci ha permesso di essere un popolo sempre accogliente, certo in questi ultimi anni le difficoltà quotidiane che ci assillano hanno reso la nostra parte più generosa un tantino come dire…sorda! Speriamo bene per il prossimo futuro perché tutti noi potremmo aver bisogno dello zucchero della vicina di casa!!!
Recentemente proprio al Festival di Sanremo, la campionessa italiana Paola Egonu ha riaffrontato il problema sul palco dell’Ariston:
Parlare di temi sociali nelle pubbliche piazze è sempre importante perché la voce corra rapidamente e magari sensibilizzi opinione pubblica e pubblica amministrazione.
Roma fa da sfondo: è ancora città accogliente o si è incattivita?
Roma, come tutte le grandi metropoli, può respingere o accudire. Ti accudisce quando incontri la persona giusta che ti sorride, che ti allunga la mano, ti accoglie quando stai bene economicamente e puoi permetterti una vita agiata e di lusso, ti risparmia la difficoltà di prendere un mezzo pubblico e di poter prendere un taxi. Ti respinge quando invece sei in una città così grande e impegnativa, con affitti spesso fuori dalla tua portata e ben oltre il tuo stipendio. Ti respinge quando a casa gli stipendi non sono due ma soltanto uno, quando ci sono due stipendi ma i figli sono piccoli e non sai con chi lasciarli.
I teatri sono tornati a riempirsi, dopo due anni di emergenza sanitaria, l’abbraccio con il pubblico resta fondamentale e lo è sempre stato. La cultura, il teatro, avrebbe bisogno di maggiore attenzione e cura, sovvenzioni da parte dei vari Governi e Istituzioni?
Il discorso sarebbe lungo ed articolato. Preferisco solo dire che tutti gli operatori del mondo dello spettacolo dovrebbero avere lo stesso trattamento dei metalmeccanici, ovvero dovrebbero poter vivere senza chiedersi continuamente cosa ne sarà di me alla fine di questo spettacolo? E non aggiungo altro.
I social, a suo avviso, hanno amplificato le debolezze e le fragilità umane, la rabbia sociale e l’aggressività?
I social sono nel bene e nel male i microfoni del potere e le casse di risonanza del popolo. Bisognerebbe essere tutti laureati in antropologia per sapere come usarli e farsi usare, purtroppo così non è…ecco quindi difficoltà e deformazioni.
Abbiamo più strumenti in mano e siamo di conseguenza, peggiorati?
Abbiamo più mezzi ma non strumenti e questo è il problema, a mio avviso.
Un suo pensiero sulla società “liquida”, frenetica:
“La società liquida” come la definisce Zygmunt Bauman “è la conseguenza di un cambiamento epocale nel quale i nostri adolescenti, i nostri giovani si trovano a crescere e a vivere. Tutti spinti da una irrefrenabile corsa che travolge qualsiasi dimensione della vita.” Qui bisognerebbe aprire una riflessione sull’io e sulla collettività. Sul desiderio di apparire e di essere protagonisti sempre. Per amore di sintesi: non vengo a teatro per conoscere me attraverso l’altro…ma tutti vogliono fare teatro affinché sia l’altro a conoscere se stesso attraverso me in scena. Che periodo di grande confusione…ma questa confusione mi fa ben sperare, è quando l’uomo si perde che nascono domande ed è proprio di questo che il nostro futuro ha bisogno: di domande. Ai giovani coglierne il senso e riempire le domande di significato. In bocca al lupo!