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“Basta la parola!”, Tino Scotti 120 anni dopo

Da “Basta la parola!” ai classici: la poliedricità di Tino Scotti

C’è stata un’Italia che, sentendo la battuta “Basta la parola!“, sorrideva ricordando immediatamente Tino Scotti. Quella frase, tormentone di un celebre Carosello per un lassativo, è ancora impressa nella memoria collettiva, sintesi perfetta di un umorismo genuino e di un’eleganza innata che, a 120 anni dalla sua nascita, meritano di essere riscoperti.

Ernesto Scotti, per tutti Tino, è stato molto più di un volto pubblicitario; è stato un attore completo, un maestro del trasformismo capace di spaziare dall’avanspettacolo al teatro drammatico, dal cinema alla rivista, lavorando anche con mostri sacri come Giorgio Strehler e Franco Enriquez. Difatti, l’innata eleganza e la versatilità di Scotti non rimasero confinate all’avanspettacolo e al cinema comico, trovarono espressione pure nelle produzioni più impegnate del teatro italiano del dopoguerra. In particolare, il suo sodalizio con Franco Enriquez lo vide coinvolto in ruoli che ne esaltavano la gamma attoriale, da Oloferne in Pene d’amor perdute di Shakespeare, fino al generale Sédan in Ma in provincia siamo seri di Pierre Veber e al servo Panurgo ne La Fantesca di Giambattista Della Porta. Parallelamente, lavorò sotto la direzione di Strehler e Beppe Menegatti, in allestimenti come Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni Sogno di una notte di mezza estate del Bardo, dimostrando nuovamente una notevole disinvoltura nel passare dalle opere italiane ai classici del repertorio internazionale.

Tuttavia, la sua cifra stilistica comica nazional popolare era inconfondibile: una parlantina a raffica, concitata e velocissima, e una mimica facciale che bucava lo schermo, incarnando con maestria gli archetipi del milanese “bauscia” (gradasso) e, appunto, del personaggio distinto. La figura del “Cavaliere” non era solo un ruolo, ma un vero e proprio personaggio, icona di uno charme d’altri tempi, un po’ agée e bonario, che Scotti portava con sé sia sul palco che nella vita, diventando per tutti quel signore elegante. Non un titolo nobiliare, ma un riconoscimento popolare per il suo portamento, per quell’aria tra il distinto e il disincantato, capace di sdrammatizzare ogni situazione con un’ironia sottile e mai volgare.

Questa sua capacità di creare maschere iconiche, radicate nella cultura milanese ma amate in tutta Italia, dimostrava un eclettismo e una bravura attoriale che travalicavano i generi. Oltre quaranta film all’attivo, così come partecipazioni a programmi radiofonici e televisivi, testimoniano una carriera lunga e prolifica. La sua arte, purtroppo un po’ dimenticata, vive ancora nel ricordo di chi ha saputo apprezzare la leggerezza e la profondità di un attore che, con la sua sola presenza, sapeva trasformare uno sketch in un momento di autentico spettacolo, dove, in fondo, “bastava la parola“.

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