Avrei preferenza di no è il rifiuto gentile ma fermo che un efficiente collaboratore pone rispetto alle richieste del suo datore di lavoro. E’ un no alle abitudini, agli obiettivi e ai bisogni dell’homo economicus. E’ la meraviglia per un raggio di sole filtrato da una piccola finestra rispetto alla frenesia di un quotidiano che noiosamente si ripete sempre uguale a se stesso. Senza un senso compiuto, se non la spinta a fare sempre di più, ad alzare ritmi e obiettivi. Automatici automi con volti di persone.
Bartleby lo scrivano, opera scritta da Herman Melville, già nel 1853 descriveva con lucidità e lungimiranza una serie di dinamiche tutt’ora attualissime nel mondo del lavoro (d’ufficio). Arca Azzurra Produzioni e Francesco Niccolini ne hanno tratto ispirazione per dare forma a uno spettacolo, dal titolo omonimo, che è andato in scena a Teatro Quirino dal 29 marzo al 3 aprile. In realtà il lavoro era pronto da due anni, ma la pandemia di Covid-19 ha procrastinato un’attesa che era forte, per la presenza nel cast di un fuoriclasse come Leo Gullotta. Nei panni dell’irreprensibile scrivano, l’attore siciliano ha deliziato il pubblico con una performance magnetica e di forte carica espressiva. Un sorriso d’altri tempi.
Intorno a lui, gli altrettanto bravi Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci. Con i loro personaggi hanno animato lo studio legale in cui si è sviluppata la storia. Che interessante inizia esibendo e ripetendo la centrifuga giornaliera: luci che si accendono e si spengono, manie e movimenti sempre uguali, provocazioni, screzi, flirt, malizie.
Metodici e voyeurs. Chi lavora di più e chi più furbo scarica sui colleghi. Chi è solerte e chi si lamenta. Chi scherza e chi si prende troppo sul serio. Un titolare che arriva per ultimo e, rimasto solo, a fine giornata chiude il portone.
La “bolla” di questa normalità si protrae uguale a sé stessa a tempo indeterminato, fino a che alla porta un giorno si presenta Bartleby. Uomo dimesso e silenzioso, che si applica straordinariamente alla mansione per cui era stato ingaggiato. Ma poco tempo dopo, un giorno, improvvisamente e senza causa scatenante, Bartleby cambia. Si nega a ogni richiesta del suo principale.Avrei preferenza di no, risponde una, e poi due e poi enne volte. Incrocia le braccia. Le quattro parole si fanno disco fisso e destabilizzano uno studio che con il trascorrere dei giorni Bartleby trasforma nella sua dimora. Qui dorme, qui tira fuori dalla tasca i suoi croccanti allo zenzero. Uomo da nulla, rivoluzionario silenzioso. Non comunica a parole ma si sorprende con gli occhi. Ha un fare garbato e con la mente sembra vagare tra le nuvole. C’è qualcosa di nascosto in lui, ma i colleghi sono sintonizzati su onde troppo conformiste. Nessuno riesce a decifrare i segnali e solo alla fine l’arcano vien svelato. Ma non c’è tempo per realizzare, è troppo tardi. Bartleby, che intanto aveva varcato le porte di un ospedale psichiatrico, si è già addormentato per l’ultima volta.
Il sipario si abbassa. Da terra, Leo Gullotta si alza e riceve insieme agli altri attori 10 minuti di applausi. Il pubblico è in estasi. Lui risponde con una mano sul cuore e gli occhi lucidi di un esordiente. Pazzesco.