Per le Nuvole di Aristofane, Zingaro si ispira ai cartoni di Walt Disney

Ha ragione Vincenzo Zingaro quando, nelle note di regia, accosta il mondo scenico di Aristofane a quello fumettistico di Walt Disney, sottolineando le affinità tra i personaggi dell’antica commedia attica e quelli dei cartoni animati. Probabilmente il paragone nasce perché il modo di rappresentare la realtà, nella maniera più verosimile e schietta e semplice e quindi comprensibile a tutti, è quella di parlare la lingua del popolo, usando le stesse boutade, le medesime volgarità, le ovvie scempiaggini. Tuttavia sul palcoscenico, che sia esso antico o moderno, ogni lazzo, ogni percossa, ogni scurrile oscenità ha bisogno di personaggi teatralmente surreali che possano giustificare simili esibizioni, esattamente come accade nei cartoon. Anzi, nello specifico viene in mente, il capolavoro di Zemeckis, Chi ha incastrato Roger Rabbit, pellicola in cui il coniglio vive in perfetta simbiosi tra la realtà degli umani e la fantasia del fumetto.

Quindi, ecco che le maschere indossate in scena dagli attori acquisiscono un doppio significato: oltre a rievocare l’antica tradizione del teatro greco, assumono una personalità fantastica e al contempo una barriera protettiva per il rapporto che si instaura tra personaggi e pubblico. Se, infatti, occorre additare qualcuno in platea per offenderlo con un epiteto irripetibile, è meglio farlo nascosto da una maschera; e viceversa, se a insultare uno spettatore è un personaggio surreale con un viso camuffato da gatto o da maiale, il malcapitato non avrà un reale motivo per risentirsi. Importante è che tutti capiscano che la loro arma deve essere, sempre e comunque, la lingua, e che questa oppressione del politicamente corretto potrebbe diventare una sciagura per la nostra indipendenza linguistica.

Occorre però chiarire che nelle Nuvole di Aristofane, considerato il padre della commedia antica, le oscenità non sono fini a se stesse, come spesso invece capita oggi, ma anzi diventano l’emblema del decadimento delle nuove generazioni (di ogni tempo), per cui il vecchio Strepsiade tenta di convincere il figlio Filippide a frequentare la scuola dei sofisti di Socrate per apprendere la scaltrezza della dialettica. Poiché il figlio si rifiuta, lo stesso Strepsiade si sottomette agli insegnamenti del filosofo, venendo così a conoscenza che la pioggia non cade per volontà di Zeus ma perché effettivamente in cielo ci sono le nuvole cariche d’acqua che a volte tuonano, come tuona anche il nostro corpo dopo una faticosa digestione. La morale è che il mondo non è retto, come ci si ostinava a credere, dai capricci degli dei ma da leggi naturali. Filippide, in un secondo tempo, acconsente a frequentare il Pensatoio socratico, imparando che esiste un discorso giusto e un altro ingiusto, uno maggiore che difende l’educazione tradizionale, e uno minore che invece mette in ridicolo le dottrine esaltate dalle precedenti generazioni. Senonché, annientato ogni valore classico, cancellato il primato divino, svilito il concetto educativo, il principio etico sparisce (pare che anche noi del XXI secolo ne sappiamo qualcosa!) e di conseguenza Filippide trova equo restituire al padre le percosse ricevute quando era piccolo.

Aristofane, partendo da una mordace invettiva contro il sistema processuale, allora ancora privo di giudici di professione, trova forza e coraggio per farsi beffa delle due grandi personalità del tempo: Socrate, di cui condanna l’arroganza intellettuale, ed Euripide, reo di aver umiliato la vecchia tradizione teatrale cominciata con Eschilo (tema che ripropone anche in altre commedie); comprendendo e anticipando, così, prima di chiunque altro, il desiderio e l’esigenza di proporre una satira sociale. Un’insubordinazione tipica della nostra epoca: dal cabaret (anche televisivo) di qualche anno fa, fino alle attuali esternazioni popolari, e spesso triviali, lanciate tramite social.

La regia di Vincenzo Zingaro, che oltre all’adattamento ha curato anche la scena, ricalca molto lo stile antico: il coro che parla a voce unica, i gesti tipici delle maschere, le esagerazioni ben studiate, tutto in un clima che sembra essere disegnato per una elementare scena rinascimentale o una tipica situazione goldoniana con le due case poste una di fronte all’altra. Una installazione scenica che sposa perfettamente le esigenze di uno spettacolo teatrale nato appena 423 anni prima di Cristo. Così come i colori scelti dall’affascinante disegno luci (di Giovanna Venzi), che pur appartenendo alla nostra epoca, dipingono con eleganza le limpide atmosfere giocose. Molto suggestiva la tecnica della recitazione amplificata dalle maschere, soprattutto alcune che mostrano una bocca particolarmente larga che fa da megafono, e che costringe l’attore a portare la voce verso il pubblico, coinvolgendolo a far parte dei suoi discorsi. Segno evidente che anche 2.400 anni fa il teatro viveva grazie alla partecipazione dei cittadini: viva quindi il teatro come strumento di civilizzazione.

Ed è festa grande per la compagnia Castalia che ripropone «Le nuvole» di Aristofane in occasione del 30° anniversario dalla nascita. Auguri.

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Le nuvole di Aristofane, con Fabrizio Passerini, Ugo Cardinali, Piero Sarpa, Rocco Militano, Laura De Angelis, Sina Sebastiani, Valeria Spada. Adattamento e regia di Vincenzo Zingaro. Musiche, Giovanni Zappalorto. Scena, Vincenzo Zingaro. Costumi, Paola Iantorni. Luci, Giovanna Venzi. Maschere, Rino Carboni Studio. Teatro Arcobaleno, fino al 2 aprile