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Antigone non muore. E nemmeno la speranza (forse)

Mythos Troina Festival: l’Antigone di Clara Galante, dai nodi del mito alla libertà del sé.

Alla larga la rassegnazione. Non è certo una Antigone tradizionale quella che emerge dal buio e che prende vita al centro palco della Torre Capitania di Troina. Questo non è un mesto lamento funebre della sventurata prigioniera che consuma il poco ossigeno che le rimane, condannata a soccombere di stenti nella grotta-bunker alle porte di Tebe che sarà il suo eterno confino. E non c’è nemmeno spazio per un compassionevole pietismo in cui spesso gli occhi della massa amano indugiare, «Perchè tanto a me non succede». Sarebbe stato troppo comodo. Qua ci si mette in gioco, e ci si può solo guardare dentro per stare al passo con lei, per seguirla davvero.

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“È il sottotesto quello che stravolge le nostre vite”. Intorno a questa idea, Clara Galante ha sviluppato un diverso approccio all’opera di Sofocle, distante dal testo originale ma anche da certe idee interpretative comuni nel teatro contemporaneo: ad esempio la parafrasi modernizzata, la rilettura in chiave attuale, l’operazione di semplice refreshing dei costumi. Questa Antigone riflette come su un lettino d’analisi, interrogandosi sul senso del dolore, ammesso che ce ne sia uno (o uno solo). Le domande si susseguono in un flusso che porta alla riflessione, che a sua volta conduce a nuove consapevolezze. Non ci sono risposte in questo viaggio, se non nel viaggio stesso dentro di sè, alla ricerca delle porte serrate e dei sottotesti perduti nel caos.

Motore propulsivo di un’opera dai presupposti così potenzialmente rischiosi è il testo: è stato decisivo l’incontro con la giovane drammaturga partenopea Elvira Buonocore, che ha messo in campo la sua già nutrita esperienza di autrice, riuscendo a trattare i temi della morte, della rabbia, dell’elaborazione del lutto, della famiglia in modo complesso ma asciutto, privo di orpelli inutili. Anche la scenografia segue lo stesso principio, ovvero la sottrazione del superfluo per giungere all’essenziale. In questo caso, nient’altro che una ingarbugliata matassa di stoffe, tessuti e fili, che da sola riesce incredibilmente ad avere la funzione di giaciglio, riparo, gabbia, arma costrittiva o catartica, in grado di produrre infiniti nodi, metafora cruciale nel racconto. Del resto, certe espressioni di uso comune nella nostra lingua parlano da sole: si dice “legarsela al dito” per indicare il rancore, ma anche “mi faccio un nodo al dito” quando ci si vuole ricordare di qualcosa. Servono dei nodi per impedire che la memoria scivoli via; ma sono nodi anche quelli intorno a cui Antigone si attorciglia mani e piedi, braccia e gambe, prima confortata, poi imprigionata. E allora via, di nuovo in fuga da sè stessa.

C’è però un’evoluzione, ce lo ha spiegato Clara Galante in questa recente intervista. Antigone non è mai in uno stato di fissità, perchè ogni suo pensiero la porta un passo più avanti verso la libertà: “Pertanto, prima la vediamo come personaggio e poi alla fine la vediamo come persona […] pezzo dopo pezzo Antigone si rende conto di non farcela più a portare tutto il peso e mette un punto, come persona. È un gioco teatrale di svelamento; infatti, quando diventa persona, rompe la quarta parete e fa al pubblico una serie di domande chiamandolo in causa”. Il cambio di sostanza che Antigone compie è sottolineato anche dalla sensibilità della Galante nel modulare le scelte espressive.

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L’Antigone-personaggio che parla all’inizio è pervasa da uno smarrimento espresso da un tonomonocorde e distaccato, quasi apatico, che tenta di razionalizzare il dolore, un po’ come certi personaggi di Lucia Calamaro. L’Antigone-persona invece, pur rimanendo portatrice di conflitti insoluti, scende dal palco con un bagaglio emotivo che ora emerge pienamente, lasciandolo nelle mani del pubblico. Adesso il fardello è responsabilità collettiva, mentre Antigone può essere libera. Forse la sua prigione non era una grotta, ma solo una salita troppo ripida da affrontare da sola. Ora siamo tutti Antigone, e possiamo solo augurarci di saperlo portare quel peso, senza che ci pieghi troppo.

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Antigone non muore di Elvira Buonocore – da un’idea di Clara Galante – Regia, costume e interpretazione Clara Galante – Musiche Christian Lavernier, Jacopo Baboni Shilingi e Clara Galante – Movimenti scenici Gioele Coccia – Produzione A.M.A. Factory – in collaborazione con Mythos Troina Festival – Prima nazionale 31 luglio/1 agosto 2025 Torre Capitania Troina

Ph ©Azzurra Primavera

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