Roma 1568: il banchiere castigliano Juan Enriquez de Herrera lascia la sua terra per approdare nella Città Papale. Siamo nel periodo della dominazione spagnola in Italia, e anche nella capitale la comunità ispanica è ricca e popolosa. Punto di riferimento e di ritrovo è la Chiesa di San Giacomo, a Piazza Navona, dove si tenevano cerimonie religiose e feste laiche. L’ingresso, come per l’attiguo convento con l’ospedale e l’ospizio per i pellegrini, era in “Via della Sapienza”, l’attuale Corso Rinascimento. Fino a che Papa Alessandro VI Borgia, spagnolo, decise per il prolungamento delle tre navate fino alla Piazza Navona, con la costruzione di una nuova facciata e un nuovo ingresso.
E Juan Enriquez de Herrera volle per sé e per la propria famiglia una cappella funeraria proprio all’interno della chiesa, commissionandone i lavori, nel 1602, ad Annibale Carracci.
Il pittore originario di Bologna, era arrivato a Roma dietro richiesta della famiglia Farnese, di cui divenne rapidamente “l’artista di corte”, se così possiamo dire. Aveva già lavorato tanto nella città di origine, con il cugino Ludovico ed il fratello Agostino. Poi a Parma e a Reggio Emilia. A Roma era diventato molto noto soprattutto dopo gli affreschi della Galleria di Palazzo Farnese.
Rappresentava il Rinascimento, e quella nuova corrente che si ispirava al vero, evitando qualsiasi ammiccamento e artificio per “imbellire” i soggetti che riproduceva, rinunciando a ingraziarsi spettatori e committenti. Il suo celebre Mangiafagioli del 1584 ne è un tipico esempio.
Accettò la commissione del banchiere e iniziò ad affrescare la cappella Herrera con un ciclo dedicato a San Diego, come richiesto dal committente che attribuiva al santo la guarigione di suo figlio Diego. Sarà il suo ultimo lavoro: Annibale si ammala nel 1605, e lascia al suo allievo Francesco Albani il compito di terminare l’opera. In realtà Albani vi mise mano sin dall’inizio; gli stili dei due artisti sono molto simili tanto che gli studiosi sono spesso in dubbio sulle parti da attribuire all’uno o all’altro. Annibale Carracci morì nel 1609, dopo aver visto la conclusione dei lavori della sua ultima commissione.
Con il 1700 arriva ilmomento del declino degli Spagnoli in Italia. San Giacomo venne lentamente abbandonata visto l’elevato costo per la manutenzione e la diminuzione del numero degli spagnoli residenti nella città, a vantaggio di Santa Maria in Monserrato, l’altra chiesa romana legata alla corona spagnola. Il culmine sarà rappresentato dall’occupazione e dal saccheggio delle due Chiese da parte delle truppe napoleoniche entrate a Roma.
Ma gli affreschi furono salvati: grazie a una particolare tecnica di rimozione delle pitture murali, vennero trasferiti su tela. Nel 1850 arrivarono in Spagna, a Barcellona e a Madrid, eccetto la pala d’altare, tuttora conservata a Santa Maria in Monserrato. Sono al Museu Nacional d’Art de Catalunya e al Museo del Prado.
E oggi, grazie a un faticoso lavoro di ricerca si è arrivati a una ricostruzione sia storica, che fisica dei vari frammenti ora ristrutturati.
Andrès Ubeda de los Cobos, ha curato una mostra che ci permette di godere della riproduzione volumetrica della cappella, visitabile alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini. Per la prima volta, le tele tutte assieme, ricomposte nella loro posizione originaria, ci permettono di immaginare come doveva essere quello spazio ormai cancellato (al posto della Cappella, oggi a San Giacomo c’è la sagrestia…)
Così, “districandoci” tra busti di Bernini, dipinti di Raffaello, Filippo Lippi e Guido Reni, tra i preziosissimi pezzi esposti nella Galleria Nazionale, arriviamo a godere di quest’opera, proprio come doveva essere nel 1606. Ed è davvero emozionante immergersi nel passato, tra frammenti di arte e storia come in un puzzle appena ricostruito.