L’intervista impossibile all’indimenticata Nannarella
A più di cinquant’anni dalla sua scomparsa, Anna Magnani resta una figura centrale e insostituibile nel panorama del cinema italiano. Come scrive Giancarlo Governi nel suo libro Nannarella, è il simbolo dell’Italia del dopoguerra, del coraggio e del riscatto, incarnato in quella pietra miliare che è Roma città aperta di Roberto Rossellini. Con una naturalezza unica, seppe spaziare dai toni drammatici a quelli più leggeri, portando sullo schermo la fame di vita e le passioni di un Paese in ricostruzione.
Amori, successi, gioie e dolori segnarono il suo percorso umano e artistico, culminato nel 1958 con l’Oscar per La rosa tatuata, recitato interamente in inglese accanto a Burt Lancaster. La critica internazionale fu unanime: “una grande attrice”, nata nei teatri di rivista accanto a Totò, cresciuta nel cuore della sua Roma. Una città che fu per lei madre, complice, tragedia e mito.
Una Roma “un po’ fruttarola, un po’ pesciarola, canzonettista e madre disperata” come scrisse lo scrittore e sceneggiatore Giancarlo De Cataldo. Magnani fu diva e icona, partigiana e sex symbol, figura indelebile del neorealismo italiano. Matilde Hochkofler la descrisse nel suo libro come “volto irregolare, grandi occhi luminosi, capelli scarmigliati, voce roca, risata improvvisa”, un tutt’uno tra donna e personaggio. Indimenticabile in ruoli come l’onorevole Angelina, l’amante disperata ne La voce umana di Cocteau, la madre apprensiva di Bellissima, la dark lady in Nella città l’inferno, o la moglie che urla il nome del marito Francesco mentre viene portato via dai nazisti in Roma città aperta.
E poi Mamma Roma di Pasolini, Vulcano di Dieterle, girato accanto all’isola di Stromboli, dove Rossellini, tradendola, girava con Ingrid Bergman: fu quella che la stampa definì “la guerra dei vulcani”. E ancora, Selvaggio è il vento con George Cukor, Pelle di serpente con Marlon Brando per la regia di Sidney Lumet, su testo scritto per lei da Tennessee Williams. Fu proprio lei a rifiutare il ruolo di protagonista ne La ciociara di Vittorio De Sica, suggerendo a sorpresa di affidarlo a Sophia Loren.
Il suo ultimo film girato in Italia fu Il segreto di Santa Vittoria di Stanley Kramer, accanto a Anthony Quinn. Dopo il sodalizio con Totò, tornò sul palcoscenico nel 1965 con La lupa di Verga per la regia di Zeffirelli, e l’anno successivo con Medea diretta da Giancarlo Menotti. Nel 1971 girò per la televisione Tre donne con Alfredo Giannetti. La sua ultima apparizione cinematografica fu in Correva l’anno di grazia 1870 con Marcello Mastroianni.
Nel 1972, Federico Fellini la volle nel suo film Roma. La sequenza è rimasta celebre: Magnani rientra nei vicoli della città, silenziosa e deserta. Quando il regista la saluta, lei, infastidita, chiude la porta in faccia alla macchina da presa bisbigliando: «A Federì, va’ a dormì, va’. No, nun me fido. Ciao. Buonanotte».
Una popolarità senza confini. Il 12 aprile 1961, Jurij Gagarin, primo uomo nello spazio, le dedicò un messaggio dalla capsula orbitante: «Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti e Anna Magnani».
Jean Renoir scrisse da Parigi: «La Magnani è la quintessenza dell’Italia e la personificazione del vero teatro, quello degli scenari di cartapesta e degli stracci dorati. Signora, le sono grato per aver simboleggiato tutte le attrici del mondo». A Hollywood fu amica di Bette Davis e di Marilyn Monroe e Giuseppe Ungaretti scrisse di lei: «Anna, ti ho sentito gridare “Francesco!” dietro quel camion dei nazisti in Roma città aperta e non ti ho più dimenticata».
Nella vita fu madre tenera e fiera del figlio Luca, avuto da una tormentata relazione con l’attore Massimo Serato, che la lasciò poco dopo la nascita. Amava ripetere: «Dovevo nascere contadina, fare tredici figli e scodellarli a un marito che mi riempiva di schiaffi ogni volta che aprivo bocca. Invece, anche contro quella che poteva essere la mia natura, mi sono messa a fare l’attrice. E sono diventata Anna Magnani».
Celebre è l’episodio durante la guerra: in un teatro romano, saliti sul palco i fascisti armati, imposero al pubblico di gridare “Viva il Duce!”. Lei, con le mani sui fianchi, li fulminò: «E andate a morì ammazzati, va’». Il pubblico la seguì ogni sera, anche dopo l’attentato di via Rasella il 24 maggio del 1944.
Nata a Roma, vicino Porta Pia, cresciuta con la nonna — la madre emigrò in Egitto con un ricco austriaco, studiò pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia, poi recitazione alla scuola di Silvio d’Amico, che disse di lei: «Non recita: vive». Tanto teatro con Paolo Stoppa, poi la rivista accanto a Totò nel 1934. Il cinema arrivò con La cieca di Sorrento. Nel 1935 sposò il regista Goffredo Alessandrini, da cui divorziò solo nel 1972.
Nel 1945 il trionfo mondiale con Roma città aperta e il primo Nastro d’argento. Ingrid Bergman scrisse a Rossellini per complimentarsi: bastò una lettera per cambiare le vite di tutti. Rossellini ne fu affascinato e nacque una relazione che segnò l’inizio del loro sodalizio e della fine. Quando giunse a Hollywood per la prima di Bellissima, la stampa americana scrisse: “In confronto, le nostre attrici sono manichini di cera”. E il Time la consacrò: “Divina, semplicemente divina”.
Più di cento film da protagonista, premi in tutto il mondo. Dopo la sua morte in una clinica romana, assistita dal figlio Luca e da Rossellini, il Musem of Modern Art di New York le dedicò una retrospettiva di 14 film. In Italia, Adriano Celentano le rese omaggio con una canzone scritta da Carmen Consoli.
Alla fine degli anni ’90, realizzai per la RAI un documentario dedicato a lei. Ricordo ancora l’emozione nel girare fra le mani quell’Oscar del 1958. Luca, nella sua casa-studio di via Margutta, raccontava con amore. Per un istante, mi immaginai seduto lì, al suo posto. Davanti a me, Anna. Capelli scarmigliati, sguardo intenso. Elegantemente donna. Silenziosa e viva.
Che ricordi ha di quella Roma citta’ aperta e di quel ruolo che doveva essere di Clara calamai?
É la storia più bella scritta da Sergio Amidei che io abbia mai letto. Si è vero, i produttori, volevano affidare quel ruolo di Pina a Clara Calamai, fu solo l’intervento di Peppino Amato (lo stesso della Dolce vita), che li convinse che quel ruolo era stato scritto per Anna Magnani
A che eta’ ha capito che voleva fare l’attrice?
Intanto ho capito che non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno. Per tutta la vita ho cercato con tutta me stessa questa lacrima, ho implorato questa carezza, poi ci ho rinunciato ma mi ci sono voluti tanti anni e tanti errori.
Cosa le è rimasto nel cuore di quella mattina a New York quando sbarcò dall’ Andrea Doria per la prima di Bellissima?
C’era scritto Viva Anna Magnani su uno striscione, tenuto in alto da una folla che applaudiva gridando viva Magnani, viva l’Italia e una bambina mi offrì un mazzo di fiori. Mi si strinse il cuore e mi commuovo ancora oggi fino alle lacrime. Riuscii ad arrivare in hotel confusa, felice e curiosa nello scoprire ai miei piedi dalla finestra al 15mo piano una New York piena di luci e vita. La sera mi portarono al Mocambo il locale più alla moda del momento. Dove fui raggiunta dalla telefonata di Marlon Brando: «Vorrei vederti. Cosa fai domani sera?» Il giorno dopo arrivò in hotel con una rosa rossa. Finimmo con Natalia che mi assisteva per l’inglese a cenare in un ristorante cinese. Poi prendemmo il battello panoramico. Sembravamo tre ragazzi che avevano marinato la scuola. »L’inglese? Ma che c’è vo’ a parlà l’inglese quando uno sa quello che deve dì…»
Lo sa che lei è una delle poche personalità italiane assieme a Lina Wertmuller, Luciano Pavarotti, Sophia Loren e Marcello Mastroianni a fregiarsi di una stella nella Walk of Fame?
Se è per questo mi è stato dedicato anche un cratere largo 26 metri su Venere e il mio amico Tennessee Williams che mi ha spinto ad accettare di fare film ad Hollywood compresa “La rosa tatuata” “Selvaggio è il vento” e “Pelle di serpente” con Brando. Diceva sempre che ero metà femmina e metà maschio. Vede, ho faticato tanto al cinema, ho dato e ricevuto tanto, ma Hollywood non è stata una vacanza. Una volta sul set di “Pelle di serpente”, Brando mi fa: La tua parte è più importante della mia nella sceneggiatura ma non lo sarà sullo schermo. Senti, gli risposi in inglese. Io mi trovo qui non per battermi con te, ma per fare con te un bel film. Tu caro Marlon, non sai quante volte ho perso nella mia vita, ma ti assicuro che fa bene e farebbe bene anche a te. Voglio che sui manifesti in Italia il mio nome venga prima del tuo. Non sono mai stata una donna debole. Finì che il primo giorno di lavorazione, Marlon mi fece trovare in camerino un gran fascio di rose. Si, Hollywood non è stata una vacanza!
Quali sono se ha voglia di farlo. il bilancio della sua straordinaria vita artistica?
Devo mettere sulla bilancia che quello che ho fatto nel cinema lo devo soprattutto a Roma città aperta e a Roberto Rossellini. L’unico regalo me lo ha fatto lui, ma la mia vera passione che ho trascurato per il cinema resta il teatro. Niente può sostituire l’emozione che si prova salendo sul palcoscenico sapendo che il pubblico è li pronto a dilaniarti. Beh a conti fatti penso di essere stata soprattutto un’attrice di teatro, anche se non c’è mai stata incompatibilità fra me ed il cinema. solo che i veri produttori come i veri registi o sceneggiatori sono diventati merce rara come Rossellini, Visconti, Rosi, Antonioni, Fellini, De sica, Germi, Pasolini, Zeffirelli. Oggi i produttori ma anche i registi sono sottoposti a un pesante condizionamento commerciale e soltanto dopo la morte di Totò il cinema si è affrettato a riconoscerne la sua grandezza e quanto avevano perso non accorgendosi del suo valore. Tranne pochissimi autori, Totò aveva un sogno che non riuscì a realizzare, quello di portare sullo schermo Don Chisciotte. Sarebbe stato perfetto!
Le luci dello studio di Luca Magnani in via Margutta si sono affievolite, tranne un raggio di sole al tramonto che illuminava come un faro in una Roma che si dipingeva di amaranto, proprio quella statuetta dell’Oscar conquistato ad Hollywood.
Pochi giorni dopo la sua scomparsa Eduardo De Filippo le dedicò un’intensa poesia che diceva: «Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano, gli occhi di Nannarella, gli stessi che seguivano le camminate lente, sfiduciate, perdute della povera gente e tutti i selciati di Roma hanno strillato e le pietre del mondo li hanno uditi!!»