Presentato l’ultimo film del regista calabrese e un ricordo nostalgico a dieci anni dalla scomparsa di Carlo Mazzacurati
Tocca al nostro cinema e alla Mostra di Venezia si accendono i riflettori sul primo dei film italiani in concorso, Campo di battaglia di Gianni Amelio.
Esattamente trent’anni fa, Amelio partecipò in concorso con il suo capolavoro L’America, snobbato dalla giuria presieduta da David Linch che gli preferì Vive l’amour di Tsai Ming-liang e Assassini nati di Oliver Stone, riscattandosi nel 1998 con la conquista del Leone d’oro per Così ridevano quando la giuria era presieduta da Ettore Scola. Quella di Gianni Amelio con la mostra è una lunga storia iniziata nel 1982 quando portò in concorso Colpire al cuore interpretato da Jean Louis Trintignant e una promettente Laura Morante e in giuria c’erano icone come Marcel Carnè, Mario Monicelli e Gillo Pontecorvo.
Campo di battaglia interpretato da Alessandro Borghi e Gabriel Montesi che abbiamo visto questa mattina è ambientato nell’Italia monarchica del 1918 sul finire della Grande Guerra contro i “crucchi” austriaci, guerra che costò al nostro Paese più di un milione di morti prevalentemente giovani contadini siciliani, calabresi, pugliesi, napoletani e friulani che non vedevano l’ora di scappare da quell’inferno arrivando a infliggersi gravi forme di autolesionismo. In un ospedale militare nelle retrovie due giovani ufficiali medici affrontano le conseguenze amare di quel conflitto: uno, Stefano proveniente da una famiglia alto borghese con un padre che sogna per lui un futuro in politica, ossessionato dagli autolesionisti l’altro, Giulio nei suoi sogni un futuro da biologo, più tollerante e comprensivo disponibile a salvare dal fronte più vite possibili e tra loro Anna, una donna coraggiosa e determinata che, nonostante le difficoltà dell’epoca, riesce a lavorare come volontaria alla Croce Rossa. La storia prende una piega inquietante quando Anna inizia a sospettare che qualcuno stia sabotando intenzionalmente le cure dei soldati feriti, aggravando le loro condizioni per impedire loro di tornare al fronte. Attorno a loro le dinamiche politiche di un’epoca dove la linea immaginaria fra giustizia e opportunismo si confonde con quella guerra inutile. «Gianni Amelio ha detto Alessandro Borghi – è un uomo di ottant’anni che ha la forza di un barbaro di vent’anni», come l’età media di quei poveri ragazzi chiamati a morire. Un film che fa riflettere più che mai sull’inutilità dei conflitti.
In passerella e sullo schermo Jude Law che abbiamo visto oggi in The order, dell’australiano Justin Kurzel, un film anche questo che arriva in un momento davvero particolare per la storia americana basato su eventi realmente accaduti e documentati nel libro inchiesta dei giornalisti Kevin Flynn e Gary Gerhardt The Silent Brotherhood, un’analisi dei movimenti di ultradestra che da anni cercano di minare la democrazia negli Stati Uniti ambientato nel nord ovest del paese dove un’agente del FBI cerca di indagare su una catena di crimini che sta facendo impazzire la polizia locale. The order è stata realmente un’organizzazione eversiva, operativa fra il 1983 e il 1984 e il film è certamente un documento importante per l’analisi della violenza in America.
Intanto la Mostra ha ricordato a dieci anni dalla prematura scomparsa il regista padovano Carlo Mazzacurati con un bel documentario di Enzo Monteleone e Mario Canale dal titolo Carlo Mazzacurati – Una certa idea di cinema. Un regista prezioso quasi dimenticato, autore di film come Notte italiana del 1987 che affrontava già il grande tema ambientale e La giusta distanza del 2007, che anticipava il tema razziale in Italia e il fenomeno dei femminicidi. Le province, diceva, sono in unico luogo, un modo di stare al mondo, spiegava così il suo concetto di provincia, che si estendeva non solo oltre i confini del Nord-est, ma oltre quelli italiani. E ieri, curiosa coincidenza il film di Monteleone e Canale ha debuttato al Lido nella Sala Corinto, come si chiamava il toro del suo omonimo film che fu presentato in concorso proprio qui alla Mostra del cinema nel 1994, aggiudicandosi il Leone d’argento.