Cerca

Al tramonto di Hollywood: un incontro impossibile con Gloria Swanson

Dalla suite del Sunset Tower Hotel all’epopea di Norma Desmond: l’intervista immaginaria alla diva del cinema muto e sonoro, tra ricordi, aneddoti e segreti di un’icona senza tempo

Nel 1997, durante le riprese di un mio documentario dedicato alla storia di Hollywood, ebbi l’occasione grazie a Luca Celada, allora referente Rai a Los Angeles di scoprire lungo Sunset Boulevard, tra i luoghi simbolo dei divi degli anni ruggenti, il celebre Hotel Sunset Tower, elegante edificio in stile art déco. All’ultimo piano, l’hotel mostrava con orgoglio ai visitatori la suite dove aveva soggiornato Gloria Swanson, l’indimenticabile protagonista di Viale del tramonto di Billy Wilder.

Il film, uscito in America il 4 agosto 1950 e interpretato da Gloria Swanson, Erich von Stroheim e William Holden, ottenne 13 candidature all’Oscar e ne vinse 3, imponendosi come uno dei capolavori più amati della storia del cinema. Scritto dallo stesso Wilder insieme a Charles Brackett, è oggi conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso ed è stato inserito dall’American Film Institute tra i migliori cento film di Hollywood. Un’opera che non solo segna un capitolo imprescindibile della storia del cinema americano, ma rappresenta anche una tappa fondamentale nella lunga e straordinaria carriera di Gloria Swanson, icona assoluta dell’epoca del muto.

Nel 1951, dopo aver assistito all’anteprima romana di Viale del tramontoEnnio Flaiano – lo sceneggiatore principe del cinema italiano del dopoguerra e fine critico – scrisse: «Viale del tramonto è un esempio degli errori che si commettono nel giudicare il cinema americano, ritenendolo periodicamente esaurito. Succede poi che ne confermi invece l’enorme vitalità, grazie al successo di pubblico, al progredire del gusto e, finalmente, alla libertà da certi pregiudizi».

Viale del tramonto è la storia di una vecchia diva del cinema muto che non sa rassegnarsi all’oblio e che, attraverso il suo ultimo amore impossibile, arriva all’omicidio e alla follia. “Una cronaca però – continua Flajano – che invece di respingere, affascina con gli eventi di una tragedia senza tempo. Un trionfo dell’intelligenza, dove Billy Wilder e Charles Brackett non sono certo dei poeti, non giocano con il cinematografo e con il “meravigliare”, ma colpiscono al cuore. Alla fine lo spettatore ha la netta sensazione che il cinema sia soprattutto arte”.

In effetti, in questo film Wilder e Brackett scoprono un mondo perduto: quello degli attori che vivono melanconicamente il tempo che passa, lontani dalla ribalta a cui erano abituati dal successo. Un mondo cinico, che apprezza solo la fama quotidiana, come la lotta che l’attrice ormai in declino intraprende contro sé stessa, destinata a concludersi in tragedia senza però sfiorare il melodramma. Merito della straordinaria interpretazione di Gloria Swanson, che ritorna da grandissima attrice anche del muto – conclude Flajano.

Gloria Swanson, iniziò la sua carriera come ballerina e cantante, scoperta dal produttore Mack Sennett, che la scritturò come una delle Bathing Beauties – le ragazze in costume da bagno impiegate per ravvivare i film comici dell’epoca. La consacrazione arrivò nel 1919, quando il celebre regista Cecil B. DeMille le procurò il primo vantaggioso contratto con la Paramount. Con DeMille interpretò film di grande successo come For Better, for WorseFragilità sei femmina e Perché cambiare moglie, cimentandosi in produzioni di ogni genere. Al fianco di Rodolfo Valentino recitò in L’età di amare nel 1922.

Nel 1925 si trasferì a Parigi per girare Madame Sans-Gêne, dove conobbe il marchese Henri de La Falaise, che divenne suo marito per pochi anni, mentre fondava la sua casa di produzione insieme a John Fitzgerald Kennedy, nonno del futuro presidente degli Stati Uniti. Kennedy la volle principalmente come amante, producendole alcuni film e regalando auto di lusso e gioielli, che però la Swanson dovette poi pagare quando lui la lasciò.

Successivamente arrivarono film come La regina Kelly, la storia di una giovane aristocratica finita in un bordello, diretta da Erich von Stroheim, che si innamorò di lei proprio alla vigilia dell’avvento del cinema sonoro. Stroheim, anni dopo, avrebbe accettato di interpretare se stesso in Sunset Boulevard.

Nel 1929, il primo film sonoro interpretato da Swanson fu L’intrusa, che le valse una nomination agli Oscar, dopo vent’anni di lontananza dagli schermi, dedicati al teatro a Broadway e al lancio di linee di cosmetici e abiti femminili. Nel 1950 fu chiamata da Billy Wilder e dalla Paramount per interpretare Norma Desmond in Viale del tramonto, conquistando un’altra nomination all’Oscar e vincendo un Golden Globe.

Nel 1956 venne a Roma per interpretare, accanto a Vittorio De Sica Alberto Sordi, il ruolo di Agrippina nel film Mio figlio Nerone, diretto da Steno. Nel 1974 tornò a Hollywood, prima del suo terzo matrimonio con lo scrittore William Dufty. Alla fine, si sposò sei volte e ebbe due figli.

Tra i suoi film più celebri e amati si ricordano The New Job di Charlie Chaplin, Perché cambiare marito di Cecil B. DeMille e Sangue di zingara di Sam Wood.

Ma questo è solo l’inizio di un’intervista impossibile, nel ricordo di quella suite déco al Sunset Tower Hotel, ferma nel tempo su quella Sunset Boulevard che dà il titolo al film.

Ho immaginato di incontrarla lì, in un pomeriggio di sole, su quella spettacolare terrazza. Accanto a me, seduta su una confortevole poltroncina di vimini, chiara come il colore dei suoi occhi, l’ascoltavo parlare: luminosa, affascinante, uno dei personaggi più importanti della storia del cinema di sempre. Sorridente, elegante, magnetica: lei, Gloria Swanson, la diva che non si è mai nascosta dietro i buchi della memoria. Tutto iniziò con un gin tonic fra le mani lunghe e affusolate, che stringevano delicatamente, fra le dita, una lunga sigaretta dorata.

Nonostante dopo il successo di Sunset Boulevard lei non sia più apparsa in molti altri film, la sua vita è stata incredibile e ricca di eventi. Dal trionfo nel cinema muto al passaggio al sonoro, è stata una delle prime star milionarie di Hollywood, regina indiscussa del glamour e pioniera anche come produttrice. Emblematico il rifiuto, negli anni ’30, di un contratto da un milione di dollari offertole dalla Paramount: una scelta coraggiosa, che la portò a unirsi alla ribelle United Artists di Chaplin, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, dove avrebbe potuto esercitare maggiore controllo sui suoi film, capaci di incassare milioni di dollari. Una decisione che contribuì a rafforzare il potere delle produzioni indipendenti. Come ricorda oggi quel momento decisivo della sua carriera?

Diciamo che non mi sono mai seduta sugli allori. Quando i film non andavano bene, mi sono dedicata anche ad altre attività, persino alla gestione di un’agenzia di viaggi. È vero, ho letto anch’io che avrei guadagnato più di qualsiasi altra stella di Hollywood e che il mio stipendio superasse il milione di dollari, ma potrei fare i nomi di molti colleghi che, in quegli anni, incassavano molto di più. Alla fine sono soltanto esagerazioni. Si scrisse persino che facessi arrivare i marmi dall’Italia per la mia casa di New York!

La verità è che i miei guadagni provenivano da tante fonti diverse: dalla fondazione di una società di invenzioni e brevetti – con la quale aiutai anche numerosi scienziati ebrei in fuga dalla Germania nazista – fino alla conduzione, nel 1948, di un mio fortunatissimo programma televisivo e radiofonico.

Con la sua interpretazione di Norma Desmond in Sunset Boulevard è entrata definitivamente nella storia del cinema sonoro e nell’immaginario collettivo, ottenendo la sua terza candidatura agli Oscar. Che significato ha avuto per lei quel ruolo così iconico e complesso?

Certo, Norma Desmond rappresentava l’epopea di un mondo che cambiava ma che non voleva rinunciare a ciò che era stato. Ricordo bene la scena con William Holden, il giovane scrittore assunto da Norma: lui le dice «Ah sì, ricordo… lei è stata una grande diva del muto», e lei, con la forza del suo passato, ribatte: «Io sono ancora grande, è il cinema che è diventato piccolo». Quella battuta, scritta per me da Billy Wilder, è diventata il vero manifesto di un’epoca.

 In una lunga intervista concessa a Cameron Crowe poco prima della sua scomparsa, Billy Wilder, interrogato sul fatto che Sunset Boulevard fosse il suo film più riuscito e privo di difetti insieme a L’appartamento e A qualcuno piace caldo rispose che il successo universale del film colse tutti di sorpresa, compresi i produttori. Nessuno se lo aspettava.

Aggiunse anche che non era affatto semplice realizzare un film su Hollywood, perché – ed è vero – in quell’ambiente tutti sono pronti a colpirti alle spalle.

Viale del Tramonto

Ora le farò una domanda bizzarra. Un giornale di New York, quando lei si trasferì a Hollywood per un lungo periodo, nel suo attico al Sunset Boulevard – lo stesso hotel che ci ospita – scrisse che, tra costo dell’acquisto e spese di arredamento, l’appartamento le era costato nel 1930 ben 250.000 dollari, di cui tremila solo per l’ascensore privato.

Il mio amico Billy Wilder diceva che nel cinema passiamo la vita a rispondere a domande bizzarre o a dire: “Per favore, me ne faccia un’altra”. In realtà, per rispondere alla sua domanda, ne spesi solo 70.000, forse anche meno, e l’ascensore appartiene all’albergo. Come sa, qui continuano a venire molti turisti a visitarlo. All’interno sono conservati l’antica scrivania di noce nel salotto e i divani ricoperti di damasco rosso e porpora, mentre sulle pareti è ancora appeso un acquerello che dipinsi personalmente.

Come ha vissuto e gestito l’enorme popolarità che l’ha accompagnata per tutta la vita?

Tutto è un’enorme esagerazione. Quando convivi con la popolarità, può essere interpretata come un complimento, ma nasconde anche risvolti pericolosi. Sa, il pubblico è sovrano e non si prende mai la briga di creare storie intorno a chi non interessa: in fondo, questa è stata la mia vita. Non esiste altro, solo noi, la macchina da presa e il pubblico che osserva in silenzio nell’oscurità di una sala.

Ricordo quando andavo a trovare il mio vecchio amico Cecil B. DeMille negli studi della Paramount e gli dicevo: «Eccomi, De Mille, sono pronta per il primo piano di una stella al tramonto di quell’indimenticabile cinema muto, che il cinema moderno, con i suoi microfoni, i suoi sceneggiatori e i suoi dialoghi, ha scelto di non voler più».

Ancora una domanda, signora Swanson, più per la curiosità di un vecchio cronista che per altro: è vero che, a Parigi, all’apice della sua popolarità, riuscì a liberarsi di due ammiratori ossessivi che la seguivano ovunque?

Mi avevano reso la vita impossibile. Mi seguivano ovunque e conoscevano ogni mio spostamento. Un giorno di sole, sul Boulevard, decisi di affrontarli.

«Che cosa volete?» chiesi.
«Nulla, signora», risposero. «Solo guardarla con i suoi occhi belli

Allora il più sfacciato dei due aggiunse: «Io sono il vostro amante ideale
«Voi siete soltanto un imbecille», gli risposi.

Poi mi rivolsi a entrambi: «Facciamo pace. Venite a trovarmi oggi». Notai che l’altro, il più timido, si era nascosto tra gli ippocastani del viale. Si presentò e mi disse: «Signora, la mia adorazione è diventata un’ossessione… vi desidero follemente. Facciamo l’amore?»

Al primo risposi: «Va bene, voi mi verrete a trovare nel pomeriggio».
Al secondo: «Questa notte

E come andò a finire?

Tornai a casa e mi organizzai con la complicità di Charlotte, la mia cameriera di colore, che profumai e vestii di tutto punto. Nel pomeriggio arrivò il primo spasimante. Lo chiamai in salotto dalla mia camera da letto, immersa nell’oscurità, mentre io uscivo dalla porticina del vestibolo. Charlotte, tutta felice, fece le mie veci. La sera, il secondo spasimante si mise sotto la mia finestra con una chitarra. Lo chiamai: era carino, giovane, simpatico, ma timido e tremante, come un provinciale alla prima notte di matrimonio. 

«Che avete?» gli dissi con voce suadente.
«Sa, signora… se sapeste come vi desidero…» rispose.
«Va bene», gli dissi, accarezzandogli il viso. «Siate felice: il vostro desiderio sta per essere esaudito

«Signora…» mormorò, con il capo chino e la chitarra ai piedi, «io… purtroppo non posso».
«Come non potete?» chiesi sorpresa.
«Sono stato al servizio per tanto tempo del deposto sultano di Costantinopoli… voi mi capite».

E tutto finì così?

Si, fu triste. Il giorno dopo inaugurai il volo diretto a Casablanca, piantai in asso Parigi e i miei due spasimanti e volai in Marocco!

Mi alzai da quel divano con la voglia di abbracciarla. Quelle ultime parole le aveva firmate di suo pugno nel prezioso libro di Berio Rica de CasteiFacciamo all’amore. Billy Wilder, in una delle sue ultime interviste, raccontò che con Sunset Boulevard voleva mettere alla prova se stesso, realizzando un film su Hollywood e su una ex diva del muto al tramonto. Fu il regista e amico George Cukor a consigliargli Gloria Swanson, allora ridotta quasi sul lastrico a causa delle azioni della Paramount.

Le feci fare un provino con poche battute, in cui pronunciava furiosa: «Sono ancora una grande attrice, è il cinema che è diventato piccolo». Subito capii che il nostro film era già pronto. E pensare che la grande Swanson lavorò con un compenso minimo di 150.000 dollari, inferiore a quello di William Holden.

«Vede?» mi disse. «Compirò 80 anni questo mese. L’età, se non altro, mi dà il diritto di mettere le cose in chiaro prima di dissolvermi. Ultimamente ho dedicato molta più attenzione alle mie memorie che ai miei sei matrimoni. Dopotutto, non puoi divorziare da un libro».

Gloria Swanson con William Holden

Nel congedarmi me la sono immaginata in piedi, sul terrazzo della sua suite al Sunset Boulevard, mentre osservava il sole calare dietro la gigantesca scritta di Hollywood che domina le colline di Santa Monica. In quel momento, sembrava abbracciare con lo sguardo un’intera epoca di sogni, luce e cinema, come se il tempo si fermasse per rendere omaggio a una stella che, anche al tramonto, continuava a brillare.

error: Content is protected !!