Al Parioli il saggio anonimo della  «Silvio d’Amico»

È abbastanza sconcertante andare a teatro e trovarsi al cospetto di uno spettacolo completamente anonimo. Non una locandina in vetrina, non una brochure nel foyer che potesse regalare qualche indicazione, anche sommaria, allo sprovveduto spettatore sull’opera che stava per andare in scena. Qualcuno del pubblico ha chiesto con discrezione, qualche altro s’è interrogato incredulo, eppure è accaduto proprio così: sulla carta, dello spettacolo, all’interno del Teatro Parioli, non c’era traccia. Non un titolo, non un autore, non un regista, e totale silenzio sugli attori. Evidentemente non si tiene più in considerazione che alla base del mestiere dell’attore c’è quella professionale «perdita d’identità», dovendo costui vestirsi di volta in volta di un carattere che non gli appartiene e che lui, per sé, davanti al pubblico non esiste, perché pronto a diventare un altro, un personaggio con nome originale, diversa emozione, differente gestualità: che conserva una sua anima, indipendente da quella di colui che gli dà corpo. E se all’attore, in teatro, gli si toglie anche la possibilità di essere riconosciuto come tale, non potrà mai essere quell’uno che è sin dalla nascita, ma si perderà nella moltitudine di quei centomila personaggi che da secoli affollano i palcoscenici, finendo per annullarsi nell’oscurità dell’anonimato dei tanti signor nessuno.

Ed è piuttosto imbarazzante che simile superficialità possa concentrarsi proprio in un saggio della più prestigiosa scuola di recitazione nazionale: quella che porta il nome di «Silvio d’Amico». È come se l’istituzione accademica volesse inculcare all’allievo che si sta diplomando, che il suo mestiere non esiste; oscurandogli il nome, infatti, gli si toglie anche il talento che è l’unica esperienza personale che l’attore aggiunge al personaggio scritto, strappato alle pagine di un copione.

Tornato a casa, molto deluso, il cronista s’è messo con pazienza a cercar sul web notizie di questo Caligola di Camus, e da lì son saltati fuori, in ordine alfabetico, i nominativi degli sfortunati anonimi: Anna Bisciari, Lorenzo Ciambrelli, Doriana Costanzo, Federico Fiocchetti, Vincenzo Grassi, Ilaria Martinelli, Sofia Panizzi, Marco Selvatico e Giulia Sessich. Ma anche così, senza alcuna possibilità di individuare chi interpretasse Caligola, chi Cesonia e chi Cherea, è lo stesso che leggere tristi elenchi del telefono. Talmente tristi che non esistono più! E la stessa fine toccherà a questi poveri ragazzi se non gli si offre in fretta la necessità di riscattare la loro personalissima dose di successo, di apprezzamento e di gloria. Se lo meritano. Ed è dovere dell’Accademia portarli alla ribalta con una propria identità.

Sull’attore, scrive Louis Jouvet: «Non è una vocazione, la sua: è un’ambizione. Non è il desiderio di servire un altro, bensì di soddisfare se stesso». Ora, sia nell’ambizione che nel desiderio di soddisfare se stesso è insito il concetto di una forte personalità/identità. Prova ne è la naturale immodestia di molti istrioni del palcoscenico che pretesero, pretendevano e pretendono (e spero pretenderanno) il proprio nome in manifesto posto al di sopra di quello del titolo dell’opera.

Ricordo molti saggi d’Accademia – soprattutto quelli dell’amico Mario Ferrero, al teatrino di via Vittoria – prima dei quali molti attori già famosi ed eccelsi registi in cerca di nuove leve si aggiravano incuriositi nella piccola platea con il programma tra le mani e una matita pronta per sottolineare i nomi degli allievi più promettenti; e sin dal secondo anno del corso. Ma oltre al danno c’è anche una beffa. «Quest’anno per la prima volta il Parioli ospita gli spettacoli di fine corso della “Silvio d’Amico”, una vetrina importante», è scritto sul sito internet del teatro. Perdonate la domanda bizzosa: una vetrina importante, per chi? Non certo per i nove protagonisti che nessuno sa chi sono!

Qualcuno giustamente si chiederà: ma perché questo lungo prologo tortuoso intorno ad un unico argomento? Perché sto cercando di perorare la giusta causa di giovani attori in cerca d’identità, che al loro debutto in palcoscenico sono stati defraudati della cosa più importante che hanno, il nome. E forse, presi dall’entusiasmo della loro prima volta, non se ne sono nemmeno accorti. Mai più, ragazzi, mai più salire su un palcoscenico e rimanere stipati nel buio dell’anonimato. La ribalta è vostra. E ribalta a teatro significa luce.

Lo spettacolo, in sé, aveva tutte le caratteristiche dei saggi: pregi e difetti. Adattamento del testo (Maria Teresa Berardelli) e regia (Andrea Baracco) hanno dato risalto all’impossibilità di salvezza del genere umano, ossia quell’agognato saper vivere felicemente. In proscenio una striscia di terra era lì a ricordarci che polvere siamo e polvere ritorneremo: colpevoli, vittime e imperatori, malgrado a costoro sia concesso possedere perfino la luna. La morte è l’unica verità dell’esistenza umana, e l’essenza della verità è appunto l’infelicità. Concetti che ingabbiano scenicamente (l’impianto è di Francesca Tunno) i personaggi in una fredda scatola metallica, di grande effetto, che comprime le anime irrequiete e atterrite fino quasi a stritolarle insieme. E quando queste si ritrovano esasperate al cospetto del despota, a cui hanno sempre dovuto obbedire… mors tua vita mea! In questa versione Caligola sembra accettare la morte con grande serenità sapendo che paura e dolore, come qualsiasi altro senso della vita, sono soltanto un malessere passeggero: come canta quel The passenger che, in una famosa ballata rock degli Iggy pop, «attraversa i bassifondi squarciati della città». Questi i pregi. I difetti, invece, sono disseminati nella recitazione: in generale convincente, ma con qualche sbavatura e, nel finale, troppa esuberante fisicità da parte del protagonista, che però resta certamente il migliore.

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Caligola di Albert Camus; adattamento, Maria Teresa Berardelli; musiche, Giacomo Vezzani; scene, Francesca Tunno; costumi, Laura Giannisi; regia di Andrea Barraco. Con gli allievi diplomati dell’Accademia nazione d’arte drammatica «Silvio d’Amico»: Anna Bisciari, Lorenzo Ciambrelli, Doriana Costanzo, Federico Fiocchetti, Vincenzo Grassi, Ilaria Martinelli, Sofia Panizzi, Marco Selvatico, Giulia Sessich. Teatro Parioli, 5/7 giugno.

Foto di copertina: © Manuela Giusto