Al Museo Maxxi Sebastiao Salgado illumina con la sua lente i segreti di un’Amazzonia in pericolo.

Una grande stanza, oscura sui quattro lati, dal pavimento ricoperto di velluto. Intorno e appese, 200 grandi fotografie in bianco/nero a illuminare un ecosistema immenso e straordinario. Nel mezzo, qua e là, spazi semi-chiusi che ricordano le ocas, tipiche abitazioni indigene. In diffusione, un’orchestra di rumori alterna il fruscio degli alberi, le grida delle scimmie e il canto degli uccelli, fino al fragore delle acque che scendono dai crinali delle montagne.

Varcando la porta della galleria n.4, al Museo Maxxi “Museo nazionale delle arti del XXI secolo” di Roma, sembra  davvero di introdursi in un tratto di foresta pluviale. Gli scatti sono a firma di Sebastião Salgado e raccontano i sei anni trascorsi in lungo e in largo nell’Amazzonia brasiliana, immortalando la foresta, i fiumi, le alture e le persone che vi abitano. Un progetto svolto insieme alla moglie Lélia Wanick, che ha curato anche questa mostra.

La qualità degli scatti, per inquadratura e bilanciamento tra i due colori, è esemplare. Ma sono i soggetti a conferire quel quid che trasforma le istantanee in strumenti di indagine naturalistica e antropologica. Un’ Amazzonia spogliata dei suoi segreti, in realtà solo di alcuni segreti. Giacchè – come suggeriscono i pannelli descrittivi – ci riferiamo a un territorio ancora poco conosciuto e solo in parte esplorato. Del tutto inaccessibile, in alcune aree. Meraviglioso, violento in certe sue manifestazioni, ma anche dall’equilibrio fragile.
Negli spazi dai pannelli color ocra rossa si approfondiscono le caratteristiche e le vicende di alcune tribù native. Stili di vita millenari e istinto di conservazione che fanno da contraltare alla brama dei potenti, alla guerra per le risorse. A un governo che a volte non ascolta, altre è addirittura nemico.

Le foto di Salgado denunciano un pericolo dalle potenziali conseguenze globali. Se non fermato, il disboscamento selvaggio del più grande polmone verde al Mondo minerà gli equilibri naturali ed avere effetti devastanti sul clima. L’Amazzonia ci invia costantemente messaggi di avvertimento, dobbiamo ascoltarli e impostare una relazione diversa con essa. Simile a quello degli indios, che con la foresta vivono in perfetta armonia.

Della personale fanno parte anche due sale di proiezione: in una è mostrato il paesaggio boschivo, le cui immagini scorrono accompagnate dal suono del poema sinfonico Erosão (Origem do Rio Amazonas), opera del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959); nell’altra sono esposti alcuni ritratti di donne e uomini indigeni con in sottofondo una musica appositamente composta dal musicista brasiliano Rodolfo Stroeter. E’ invece opera di Jean-Michel Jarre il paesaggio sonoro che accompagna l’esperienza in sala del visitatore.

Una mostra dai contenuti e dal pathos incredibili. Con note di mistero e di mistico.  Maxxi saggiamente ha deciso di prorogarla fino al 25 aprile.