Al Festival di Cannes dopo tanto impegno arriva la leggerezza di Andò con “L’abbaglio”.

Lunghi e meritati applausi per la prima di Limonov, mentre l’iraniano Amini porta sullo schermo un giovane Trump all’inizio dell’ascesa nel mondo dei ricchi e Oliver Stone rende giustizia al presidente Lula.

Ėduard  Limonov nato in Russia nel 1943, morto a Mosca nel 2020, poeta, scrittore, leader del partito nazionale bolscevico, la cui vita ha ispirato la biografia romanzata di Emmanuel Carrère intitolata Limonov,  grande successo letterario in tutto il mondo, diventato l’omonimo film Limonov: The ballad, realizzato dal regista russo dissidente Kiriill Serebrennikov è il grande protagonista in queste ultime ore al 77° Festival del cinema di Cannes, oscurando perfino il glamour mediatico attorno all’arrivo sulla Montée des Marches di  Kevin Costner che ha presentato fuori concorso  Horizon,  prima puntata di una saga, dopo i sei Oscar di  Balla coi lupi,  dedicata alla storica epopea del west americano di fine ‘800.

Ben Whishaw, protagonista di Limonov: The Ballad

Accolto da un lungo applauso al termine della proiezione dal pubblico, il Limonov di Serebrennikov interpretato dal britannico Ben Whishaw, è un giovane contestatore ucraino, poi icona dei giovani contestatori di regime a Mosca, in seguito espatriato a New York nella casa di un miliardario per diventare finalmente scrittore di successo a Parigi e contestatore cult del consumismo politico americano, degli egoismi e delle contraddizioni sociali di Mosca. Questo è Limonov the ballade, un gran film fra i più coinvolgenti visti finora al Festival per buona pace di chi dall’alto del loro sapere prendono le distanze dal libro di Carrère, soprattutto in Italia, non condividendo appieno gli eccessi e la smodatezza lontana secondo alcuni dal tracciato scritto da Carrère che lo aveva definito “un genio con una vita di merda”.

 E allora non valeva la pena fare neanche il film e comunque al di la del mio personale giudizio, peraltro condiviso da buona parte della stampa internazionale, come si giustificano i 9 minuti di applausi (ma anche di più), di un pubblico entusiasta?  Sono (siamo) tutti degli imbecilli invasati, ubriachi di over dose da cinema?

«Limonov the ballade», ha detto dopo la proiezione, rivolto con un microfono al pubblico, «è un atto di accusa a tutti i regimi ciechi davanti ai problemi di un’umanità sempre più avvilita dalla povertà, dall’incertezza, dall’egoismo, dal protagonismo e dall’ingordigia della politica, in Russia come in America e nel mondo. Ma, non basterà certo il mio film (ma neanche purtroppo il bel libro di Carrère) come la vita stessa di Limonov a contrastare e abolire l’ingiustizia e le guerre», ha concluso il regista.

Iil Festival presenta anche un film di cui si parlerà molto, quello del dissidente regista iraniano Abbas Amini rivelatosi lo scorso anno con Endless Borders , un omaggio ai cineasti imprigionati dal regime. Questa volta Abbassi presenta The apprentice un film che affonda le unghie su un giovanissimo Donald Trump che svela tutti i segreti del mondo dei ricchi, ripercorrendo gli sforzi del tycoon newyorkése per costruire un impero nel settore immobiliare nel corso degli anni Settanta e Ottanta incluso la Trump Tower nella Quinta strada avvalendosi soprattutto dei suggerimenti del padre.

Nel film il ruolo di un Trump rampante e grassottello è interpretato dall’attore Sebastian Stan.

Ciliegina sulla torta a Cannes anche il bel docufilm che il premio Oscar Oliver Stone, dopo quelli dedicati a Fidel Castro e al presidente venezuelano Chavez, dedica questa volta al presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da SilvaLula attraverso una lunga intervista realizzata nella residenza presidenziale a Brasilia e arricchita da immagini inedite, racconta tutti i risvolti della prima elezione maturata a furor di popolo dell’ex sindacalista del Partito dei Lavoratori fino alla riconferma nel 2022 alla presidenza della repubblica di un Brasile lanciato in una rinascita economica e sociale dopo essere stato ingiustamente incarcerato per oltre un anno per frode.  Nel film il presidente Lula sollecitato da Oliver Stone non perde l’occasione per sottolineare come sia convinto che la Cia abbia lavorato sottotraccia per favorire la sua destituzione. Un Lula privo di retorica, che rievoca anche la sua detenzione in un carcere di massima sicurezza e soprattutto la vicinanza ancora una volta del popolo al suo fianco.

Oliver Stone completa con questo film, una serie di reportage politici iniziati con Jfk (l’omicidio di Kennedy), uno sulla figura controversa dell’ex presidente Nixon e The Putin interview, serie televisiva incentrata su un’intervista al presidente russo.

Fra un western d’epoca, l’immancabile politica, assensi e dissensi, un po’ di buonumore non può certo mancare al Festival per lanciare il nuovo film di Roberto Andò girato in Sicilia dopo La stranezza. Protagonisti ancora una volta Ficarra e Picone accanto a Toni Servillo.  Il film si intitola L’abbaglio ed è ambientato nel 1860 quando Garibaldi, interpretato da Tommaso Ragno, inizia da Quarto l’avventura dei Mille circondato dall’entusiasmo di giovani idealisti giunti da ogni parte d’Italia. 

Sebastian Stan nei panni del giovane Trump

Sbarcato sull’isola, e ritrovandosi circondato dall’esercito borbonico, escogita un geniale diversivo, affidando al colonnello palermitano Vincenzo Giordano Orsini il piano per ingannare il nemico con una finta ritirata. Ficarra e Picone più ironici che mai, vestono ii panni di un’illusionista e di un contadino factotum facenti parte dei militi reclutati per l’ardita impresa. Basta per un sorriso? Direi di si.

Foto di copertina: Toni Servillo