Dentro il sipario, un altro sipario; morbida coltre scura oltre la quale piccoli ombrellini bianchi sembrano levitare.
S’aggrappano ai manici curvi, miriadi di clown dai visi sorpresi: s’avvinghiano, scalpitano, strimpellano i loro strumenti, annaspano ancora per risalire.
“Un giorno siamo andati sulla luna per guardarci dall’alto ma non siamo riusciti a trovarci” – ecco che scivoliamo in “Al di là del muro”, opera di Silvia Marcotullio scritta a quattro mani insieme ad Arcangelo Iannace, in scena fino al 13 Ottobre al Piccolo Eliseo di Roma.
S’apre il panneggio, poi ancora si chiude: sugli spiragli dell’intermittenza il nostro sguardo fino ad allora curioso entra in tilt, si scopre insofferente, a tratti introspettivo, spaesato.
Sono gli attori dell’Accademia Internazionale di Teatro, la cui mimica comunica e dialoga con quella di Iannace.
Dapprima una camminata corale, poi un trambusto di mobili; repentine le scene si consumano mutando in continuum i volti che le abitano: la diatriba fra suonatrici cede il passo alla prosopopea della “bianca trincea”, il consueto numero dei coltelli reca in sé una risata nera.
Nel ritmo serrato, nel guizzante alternarsi di tinte ed immagini ci scopriamo coinvolti in un flusso che sospende il respiro, entro cui ci sganasciamo e poi di colpo ci scopriamo turbati, lesi.
E ancora, un direttore d’orchestra, un doppiaggio cinese, una conferenza: corpi gioiosi, corpi accolgono e disertano il ridicolo, li vediamo gai e poi di nuovo restii di fronte all’esistenza.
Nel guardare i goffi danzatori bianchi, l’uomo di gomma mentre svela il suo trucco, ci chiediamo se sia il muro a deragliare la nostra suggestione suggerendo nell’ilarità il pianto, nel singhiozzo il riso: se esso è porzione di realtà negata, si pone altresì motore per la confusione degli umori, miscela dei contrari che ci rende esanimi di fronte a pantomime ridenti e riti buffoneschi.
Sincronica nell’altisonanza di numeri e attrazioni, l’orda di giullari attira i lapilli di immaginari controversi mettendone a nudo gli echi stridenti.
Dal nonno di cappuccetto rosso ai fiumi della Norvegia; da un aeroporto francese alla nostalgia dell’inaccaduto; una triade di scene raggiunge lo strazio in un climax ascendente.
“E noi zitti zitti, anche l’ultimo fuoco si è spento, l’alba è cosi tenera” – una pioggia di cartapesta avvolge il proscenio, una danza furente.
Non vediamo oltre il muro, ma sappiamo di guardare attraverso di esso: ciò già di per se, ci ribalta.
con Pasquale Candela, Annarita Colucci e gli attori dell’Accademia Internazionale di Teatro: (Maria Sara Amenta, Giulia Vittoria Cavallo, Valeria D’Angelo, Enrico Desimoni, Francesco Di Crescenzo, Eleonora Di Raffaele, Serena Franchi Bono, Luca Magnifico, Riccardo Mori, Francesca Olia, Alessia Pelagatti, Silvia Ponzo, Francesco Romano, Pierantonio Savo Valente, Lorenzo Smiraglia, Giovanni Solinas). La regia è della stessa Silvia Marcotullio.