Per chi non l’avesse mai vista, ma anche per chi ha voglia di rivederla, l’occasione per visitare Villa Farnesina, ci viene offerta da una ricchissima mostra: Raffaello e l’antico nella Villa di Agostino Chigi fino al 2 luglio. Promossa dall’Accademia Nazionale dei Lincei, dopo quella su Leonardo e quella su Dante, chiude il ciclo del “Trittico dell’ingegno italiano”. Un’opportunità da non perdere per respirare l’atmosfera unica di quel luogo nei primi anni del ‘500, trionfo di ricchezza e sfarzo unito al culto delle arti e del bello, e all’ammirazione per la storia classica.
Ma facciamo un passo indietro: nel 1487 Agostino Chigi, nato a Siena, erede di un’antica famiglia di ricchi commercianti, che seppero moltiplicare la loro fortuna diventando banchieri, si trasferisce a Roma, appena ventunenne. Seguendo la tradizione familiare, in pochi anni a Roma diventa “il Banchiere dei Papi”, tratta con i re di Spagna, di Francia e d’Inghilterra… I suoi affari prosperano tanto da meritarsi l’appellativo di “gran Mercante della Cristianità” da parte del sultano di Turchia.
Questo però non gli impedisce di dedicarsi anche agli studi; fonda una stamperia e pubblica edizioni di pregio; protegge artisti commissionando molte opere che colleziona con gusto e passione.
Nel momento più florido della sua vita, volle una nuova dimora che potesse rivaleggiare con quelle dei più ricchi romani, dove poter accogliere sfarzosamente artisti, poeti, principi, cardinali e lo stesso pontefice. Al di là del Tevere, Trans Tiber, nell’attuale rione di Trastevere, vicino la Porta Settimiana, in una zona allora occupata da orti, vigne e modeste abitazioni, acquistò un ampio terreno agli inizi del 1500. Qui fece costruire la sua villa, commissionandola a Baldassarre Peruzzi, facendone affrescare le pareti a Sebastiano del Piombo, al Sodoma e a Raffaello con il quale condivise la passione per l’arte classica in un rapporto che andò ben oltre la committenza: un sodalizio che li rese in breve protagonisti assoluti del Rinascimento italiano.
Non contento, arricchì le stanze con una delle più importati collezioni antiquarie dell’epoca, affidandosi al suo segretario Cornelio Benigno, fine antiquario, e al suo sodale Raffaello tanto da far diventare la sua dimora un “laboratorio destinato alle arti, alla ricerca, agli scambi culturali e al pubblico godimento”, per dirla con le parole di Alessandro Zuccari, curatore della mostra con Costanza Barbieri. Nella sua residenza, nelle sale e nei giardini venivano rappresentate commedie, letti poemi antichi, studiate questioni di filosofia e di astrologia, tra opere d’arte uniche, antiche e moderne.
Ed il fine di questa mostra è ricreare proprio questa atmosfera, che per un breve periodo animò lo splendido palazzo: alla morte di Agostino Chigi, (nel 1520 a soli cinque giorni da quella di Raffaello) i dissensi tra gli eredi e la conseguente cattiva amministrazione depauperarono quelle ricchezze fino a privarle completamente di tutte le opere d’arte e degli arredi. Vuota ed abbandonata, la villa subì l’occupazione dei Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma nel 1527. Ancora oggi si leggono sulle pareti affrescate delle stanze, le incisioni fatte dai soldati mercenari.
Alla fine del ‘500 fu acquistata del Cardinale Alessandro Farnese, da cui il nome di Farnesina, per distinguerla da Palazzo Farnese, che si trova esattamente al di là del Tevere. Ma della splendida collezione, qui nulla è rimasto. Testimonianze delle statue, dei vasi cesellati, delle monete che arricchivano il palazzo e gli orti, ci arriva dai registri inventariali, anche se “questi putroppo offrono pochi appigli per identificare le statue. Solo in rari casi è stato possibile avere certezza di appartenenza alla collezione” spiega Costanza Barbieri. Come per la statua della Psiche capitolina, o per il Pan e Dafni di Palazzo Altemps esposte nelle prime sale. Quindi “si è scelto di selezionare quelle opere che per tipologia, storia collezionistica e provenienza, potessero essere note ad Agostino, a Raffaello e alla sua cerchia.”
Dalla ricerca e dagli studi dei curatori è comunque emerso un duplice criterio utilizzato dal Chigi nella scelta dei pezzi d’arte. Perché se da un lato le opere esposte nei saloni di rappresentanza dovevano celebrare lo status del banchiere, dall’altro tanti esemplari antichi erano collezionati per un puro fine conservativo. Molti infatti i frammenti di teste e busti in attesa di restauro.
E poi le opere sicuramente scomparse: basti pensare alle suppellettili e ai vasi in argento, o in altri materiali di pregio che furono requisiti per essere fusi. Dovevano essere moltissimi perché nei famosi ricevimenti di Agostino, le vivande erano servite in piatti d’oro e d’argento come le posate. Si narra che al termine di una cena, dando per primo l’esempio, spinse i commensali a gettare le stoviglie nel fiume. Nessuno degli invitati sapeva che erano state preventivamente fissate delle reti lungo il corso d’acqua, in modo da poter recuperare i preziosi piatti. Ricco e stravagante, “il Magnifico” non mancava di stupire i suoi ospiti con trovate di vario genere.
Un capitolo a parte meriterebbero le scuderie di Villa Farenesina, alle quali Agostino teneva tanto da affidarne la progettazione proprio a Raffaello. In seguito, vista la sua indubbia riuscita anche come architetto, gli commissionò le cappelle di Santa Maria del Popolo, di Santa Maria della Pace, e l’Edicola d’altare del Santuario di Santa Maria della Sughera a Tolfa.
A opera ancora non terminata, ci fu un sontuoso banchetto al quale presero parte vari cardinali, ambasciatori ed il papa Leone X. Questi, rimasto stupito per la ricercatezza dei cibi e la ricchezza degli addobbi, benevolmente rimproverò l’ospite di non avergli usato maggior familiarità. Solo in quel momento Agostino rivelò di averlo accolto nelle sue scuderie, mostrando le nude pareti dietro gli arazzi dorati.
Purtroppo sono andate quasi totalmente distrutte: resta solo una parte della cinta muraria. Oggi possiamo comunque farcene un’idea grazie a un filmato, che spiega anche gli studi necessari per arrivare alla ricostruzione virtuale degli spazi. E nella sala dove viene proiettato, accanto al grande schermo, una delle moderne installazioni che arricchiscono il percorso ci fa immergere in quegli ambienti: “Atmosfere di scuderia” di Stefano Conticelli. Una fila di cavalli con le loro code occupa un’intera parete, rilasciando forte l’odore del cuoio di cui sono fatte le sagome, trasportandoci dal passato delle candide statue in marmo, al moderno con stupore ammirato. Proprio quello che avrebbe voluto Agostino Chigi.