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“Aeterno Dorian Club”: l’anima inquieta dell’immortalità

Intervista al giovane protagonista Costantino Seghi, in scena a Teatrosophia fino al 30 novembre, alle prese con visioni, fantasmi e verità che scuotono anche l’attore.

La DarkSide LabTheatre Company sta incantando Teatrosophia con uno spettacolo magnetico e seducente scritto e diretto da Matteo Fasanella: Aeterno Dorian Club. Protagonista Costantino Seghi, un Dorian Gray conflittuale, tormentato da visioni e fantasmi del passato, che alla fine di una lunga tenebrosa notte di ricordi e visite apprenderà una sconcertante verità sulla sua natura. Costantino viene per lo più dal mondo del cinema e Aeterno Dorian Club rappresenta il suo debutto in uno spettacolo teatrale professionale. Abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo e conversare con lui, scoprendo i segreti di questa esperienza intensa e affascinante e luci e ombre non solo dell’anima di Dorian ma in parte anche di quella del suo attore.

Costantino Seghi con Sabrina Sacchelli

Come ti sei preparato psicologicamente a un ruolo così complesso, in bilico tra la morte dell’anima e la giovinezza eterna?
Allora, non ho mai affrontato un personaggio tanto emblematico come Dorian Gray, anzi è il mio personaggio più difficile, più sfaccettato, più… funambolico, perché nel testo si toccano tante corde dell’essere umano, anche se essere umano non è totalmente. Diciamo che c’è stata una preparazione, una lettura del copione, e quando l’ho letto la prima volta ho detto ok, devo fare un lavoro che non ho mai fatto prima, cambiando anche un po’ codice di interpretazione, perché comunque è la mia prima esperienza teatrale da professionista. È stato un dialogo, mi sono affidato molto anche a Matteo e insieme abbiamo costruito Dorian Gray, partendo anche da quelle che erano le mie caratteristiche. Quindi non è magari il Dorian Gray, come ripete Matteo, che si immaginava a priori, ma è il mio Dorian Gray, quindi con quello che porto io naturalmente come attore e quello che poi sono riuscito a scavare all’interno del testo.

Mi sono interrogato tanto su questo aspetto: cosa posso dare a un uomo immortale che ha vissuto 150 anni io che sono un ragazzo di 25 anni, che non ha tutta quell’esperienza, tutto quel vissuto che ha lui. E sono arrivato un po’ grazie all’immaginazione, a cercare di dare un peso alle parole che diceva, che non fossero soltanto date da una stanchezza di una persona di base insoddisfatta. Sono partito proprio da questa insoddisfazione che è una cosa che mi fa toccare certe corde di me stesso, sul non essere contento di quello che si è e quindi di cercare di essere qualcos’altro, qualcosa di più. Però spesso questo desiderio ci porta in luoghi oscuri, come è capitato a Dorian.

Ti volevo appunto chiedere se c’è qualche debolezza o pensiero di Dorian che hai ritrovato in te stesso. Vuoi approfondire questo tema?
Beh, diciamo che per come sono fatto io non farei questo mestiere se fossi una persona completamente soddisfatta di quello che rappresento, di quello che sono, di quello che in 25 anni di vita mi sono accorto di essere. Questa insoddisfazione lui chiaramente ce l’ha in un altro campo che è appunto il desiderio di essere immortale. Io sono ben lontano dal desiderare di essere immortale, ma ci sono arrivato da un altro punto di vista che appunto è quello attoriale, che è il fatto di non essere soddisfatti di quello che si è e questa insoddisfazione spesso può portare a un cercare di trovare sempre un aspetto diverso, essere sempre in ricerca durante la propria vita e quindi non accontentarsi mai e quindi spingersi sempre più in là, spingersi sempre più in una direzione di scoperta di sé stessi, di quello che si può fare, di quello che si vuole, della propria identità. E ancora non sono totalmente sicuro di sapere quale sia la mia identità, che cosa voglio essere, dove andrò, dove andrà la mia vita.

Nello spettacolo si intuisce che l’immortalità umana sia una sorta di disgrazia a cui però tutti anelano e la morte la controparte che dà valore vero alla vita. Qual’è la tua prospettiva su questa dualità dopo aver affrontato questo ruolo?

Io non ci penso alla morte in questa fase di vita, la vivo forse anche con un’incoscienza. In qualche modo è giusto sotto certi aspetti che da venticinquenne ancora la morte non la contempli. Però l’idea in generale che tutti dobbiamo morire sicuramente mi spinge a cercare qualcosa. Non so neanche bene che cosa. Uno passa una vita a cercare qualcosa e si scopre che magari non è neanche quella cosa che desiderava così tanto. Se penso a quando ho iniziato a fare l’attore cinque anni fa, le prospettive sono cambiate. Quello che cercavo non è quello che cerco adesso e so che quello che cerco adesso non sarà quello che cercherò l’anno prossimo o tra due anni, tre, quattro, cinque.

La struttura intima di Teatrosophia come ha influito su questa tua esperienza interpretativa?
Mi ricordo una frase di Lorenzo Martinelli, uno degli attori della compagnia, che mi diceva che sente molto di più il pubblico in uno spazio di 50 persone, in uno spazio intimo come quello del Sophia piuttosto che davanti a 800 spettatori al teatro. Il fatto di avere il pubblico così vicino è un’arma a doppio taglio. Di solito il pubblico uno non lo vede o lo vede un po’ da lontano. Stavolta veramente alzo lo sguardo un attimo e vedo gli occhi puntati su di me molto ravvicinati. Io penso sempre che quando si recita al cinema c’è una macchina che separa lo spettatore dall’attore, in questo caso qua è un’adrenalina più forte: ti senti molto più vivo, ti senti molto più visto, sia in positivo sia in negativo, quindi qualsiasi errore, qualsiasi momento di poca attenzione viene visto, viene colto e sei là, non puoi sbagliare. Sicuramente è stato super emozionante.

Secondo te dove e come va ricercata la vera bellezza andando a uno dei temi portanti dello spettacolo?
Sarà scontato ma io credo che la bellezza non sia soltanto nell’aspetto estetico, anche perché questa storia è stata scritta nel 1890 e ancora oggi comunque parliamo della sindrome di Dorian Gray, gente che non riesce ad accettare l’invecchiamento e che ricorre a un’eterna giovinezza perché non c’è un’accettazione di quello che è l’essere umano, di quello che siamo noi. Io ho combattuto tanto quando ho iniziato perché mi hanno sempre fatto apprezzamenti sull’aspetto fisico, sulla mia estetica. Devo essere sincero questa cosa un po’ l’ho sofferta andando avanti, perché magari veniva detto prima bello e poi bravo. Vero è che l’estetica ti può aiutare in questo mestiere, ti può dare sicuramente delle opportunità, però allo stesso tempo rischia in qualche modo di ingabbiarti in qualcosa che mi porta a dire agli altri che io non sono solo un ragazzo giovane di 25 anni che può essere considerato bello, sono un attore principalmente. Quindi se dovete spendere un complimento fatelo per quello che vedete a teatro, se vi va di farlo, non sulla mia bellezza, altrimenti avrei fatto altro. Detto ciò sta cambiando molto la mia concezione di bellezza, qualche anno fa era molto più sull’aspetto estetico, adesso vedo che un po’ quella cosa si sta non ti dico sgretolando, perché comunque l’occhio fa sempre la sua parte, ma in qualche modo sta passando in secondo piano. La bellezza si ricerca da altre parti, non solo nell’aspetto estetico che finirà, prima o poi invecchieremo tutti.

Inoltre anche nello spettacolo c’è l’elemento dell’amore che è precluso a Dorian per via della sua immortalità o comunque che lui sente precluso e quindi anche nello spettacolo non è solo la bellezza che emerge, ma c’è proprio questo malessere della mancanza d’amore. Vuoi aggiungere qualcosa a riguardo?
C’è una battuta nel copione che dice “l’amore è il sole unico perché non si può trovare un modo per vivere senza di lui”. Diciamo che io mi sono innamorato molto presto nella mia vita. Mi sono innamorato a 17 anni e ho vissuto un amore in un certo senso fiabesco. In qualche modo sono cresciuto a pane e Disney, con il vissero per sempre felici e contenti. Questo aspetto piano piano si sta un po’ rimodellando in un’altra forma perché si cresce, si diventa un po’ più disillusi, si perde un po’ quell’aspetto dell’amore che ti colpisce dentro e ti scombussola tutto. Però quando sei veramente innamorato è una cosa talmente forte che ti riempie l’animo. Io quella battuta là la dico con molta onestà e mi risuona molto perché è vero, ad oggi sebbene l’amore per me si sia ridimensionato in altre forme è vero, senza l’amore è una vita a metà.

Come si rapporta la tua interpretazione del personaggio di Dorian con quella del romanzo di Wilde?
Matteo ci ha detto dall’inizio che leggerlo era un bene per avere una completezza più generale della storia, di chi fosse Dorian, però diciamo che siccome il mio Dorian Gray è un Dorian Gray attuale e contemporaneo non vive più nell’ultimi anni dell’Ottocento o nei primi del Novecento. Questa storia parla di sì quello che ha vissuto, ma è un Dorian Gray con quasi 150 anni e che vive in un’altra epoca e quindi più moderno. Il romanzo è stato un sostegno della mia conoscenza che mi è servito per approfondire Dorian, ma non è stato l’unico aspetto sul quale mi sono basato.

E dei vari fantasmi e personaggi storici che si rivelano a Dorian ce n’è uno che ti affascina maggiormente?

Nel testo David Bowie è l’idolo di Dorian Gray. Io per quanto lo apprezzi sono rimasto affascinato di più dal legame con John Lennon e Virginia Woolf, per i discorsi e anche per quello che poi proclama John Lennon, ovvero voler eleggere Dorian a paladino della pace, come se in qualche modo gli stesse mostrando una possibilità, rivelando quello che avrebbe potuto fare della sua vita se solo avesse avuto un animo diverso, delle propensioni diverse. Quel pezzo là è stimolante per me perché mi mette davanti a una vita che in quanto Dorian avrei potuto vivere ma che ho scelto io di non vivere per vigliaccheria. Virginia Woolf è un incontro fantasioso che c’è stato nella testa di Matteo e che parte da un amore, da una relazione che idealmente c’è stata e che però si è consumata negativamente, perché poi Virginia a un certo punto saluterà. Tra l’altro c’è una lettera bellissima che ha scritto al marito Leonard prima di suicidarsi, che mi ricordo recitai qualche anno fa e quindi trovarmi Virginia Woolf davanti è stato anche molto emblematico, molto significativo.

Costantino Seghi

Vedendo lo spettacolo ho avuto l’impressione che tu cercassi di trovare un equilibrio tra freddezza e trasporto, tra apparente impassibilità e invece un lento tormentato deteriorarsi emotivo. È così?
Sì, anche per dare spessore maggiore al personaggio. Dal momento che gli vengono dette talmente tante cose da queste anime che arrivano e parlano parlano parlano, mi sono posto l’obiettivo di cercare un equilibrio tra le cose che potessero toccarlo in maniera forte da smuovere qualcosa e da fargli scaturire delle reazioni ben visibili e altre a cui invece cercasse di mettere una distanza. Mi piaceva giocare appunto su questo che hai definito un lento deterioramento di quelli che sono i suoi ricordi, di ciò che ha vissuto, perché Dorian Gray anche se non può morire è un essere umano. È vero dice che non può affezionarsi a un ricordo, alle persone, però sono cose più dette che vere, perché alla fine quello che sente lo sente anche lui e quello che sceglie di non sentire appunto rappresenta una scelta fatta per ripararsi, per proteggersi, per continuare il suo viaggio infinito. Quindi non è tanto un’impossibilità di affezionarsi ma una scelta.

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