Da “La stangata” al Sundance, il volto gentile della ribellione americana
La più spiritosa è stata Jane Fonda. L’attrice, con cui Robert Redford aveva condiviso il set in A piedi nudi nel parco, ha commentato dalla sua casa di New York la notizia della scomparsa dell’amico, rilanciata da ieri da giornali e telegiornali di tutto il mondo. Redford si è spento a Sundance, tra le montagne dello Utah che amava profondamente e dove, dal 1978, si svolge il festival da lui fondato, dedicato al cinema indipendente.

Jane Fonda e Robert Redford (A piedi nudi nel parco)
«Ero innamorata di lui» – ricordò Fonda a Venezia nel 2017, dove entrambi ricevettero il Leone d’oro alla carriera – «feci quel film solo per baciarlo». E la standing ovation che accompagnò quell’incontro al Palazzo del Cinema, come ricorda il direttore del festival Alberto Barbera, sembrava non finire mai.
Robert Redford è stato un artista totale, capace di unire talento attoriale e regia con un profondo impegno per le cause civili e ambientali. Un uomo che si è sempre battuto per un’America libera da guerre e da politiche oppressive. «Redford ha fatto parte di una Hollywood nuova ed entusiasmante che ha segnato gli anni ’70 e ’80. Difficile credere che avesse 89 anni», ha dichiarato Stephen King al Corriere della Sera.
Nel 1973 dopo il successo planetario de La stangata, in coppia con Paul Newman – reso celebre anche dal ragtime di Scott Joplin, Redford consolidò il suo status di icona. Già nel 1969 con Butch Cassidy era emersa la complicità unica tra i due. Nel 1974 Jack Clayton lo volle nel ruolo dell’ex gangster miliardario de Il grande Gatsby accanto a Mia Farrow, mentre nel 1976 interpretò Tutti gli uomini del presidente accanto a Dustin Hoffman, film cult sul caso Watergate, vincitore di quattro Oscar.
Nel 1985 fu protagonista de La mia Africa con Meryl Streep, ma fu I tre giorni del Condor (1975), diretto da Sidney Pollack e prodotto da Dino De Laurentiis, a segnare una svolta. «Con quel film – mi disse De Laurentiis – Redford segnò la mia storia come unico produttore italiano a Hollywood».
Tra i suoi titoli più amati, anche Come eravamo (1973) con Barbra Streisand e L’uomo che sussurrava ai cavalli (1998), dove fu anche regista, tratto dal romanzo di Nicholas Evans accanto a Kristine Scott Thomas e a una giovanissima e promettente Scarlett Johansson. La regia lo vide debuttare nel 1980 con Gente comune, vincitore di quattro Oscar, tratto dal romanzo Gente senza storia di Judith Guest.
Due volte premio Oscar (nel 1981 e nel 2002), Redford ha lanciato registi come Steven Soderbergh e Quentin Tarantino grazie al Sundance Film Festival, da lui fondato per promuovere il cinema indipendente. Un festival diventato fucina di nuovi linguaggi e visioni.
Quando venne a Venezia nel 2017 incontrandolo, si ricordò di quando in occasione di un’intervista a Berlino approfittai su richiesta del comune amico Gianni Minà per consegnarli la sceneggiatura definitiva del film I diari della motocicletta diretto da Walter Salles dedicato al giovane Che Guevara che lui poi decise di produrre.

Paul Newmann e Robert Redford (La stangata)
“L’icona dal volto d’angelo”, come lo ha definito Gloria Satta su Il Messaggero, si è spento nel sonno. Forse sognando una nuova, grande storia da raccontare. E conoscendo il suo profondo senso dell’ironia, chiudo con una battuta di Woody Allen, perfetta per l’età che mi riguarda da vicino: «Caro Robert, neanche io mi sento tanto bene».





