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Addio a Remo Girone, l’indimenticabile Tano Cariddi de “La Piovra”

L’attore si è spento a 76 anni a Montecarlo. Una carriera intensa tra cinema, teatro e tv, dal mito di Tano Cariddi fino a Hollywood.

È stato il volto simbolo de La Piovra, la serie televisiva diretta da Damiano Damiani e, negli anni, da Florestano Vancini, Luigi Perelli e Giacomo Battiato. Remo Girone, indimenticabile interprete del personaggio di Tano Cariddi, si è spento ieri all’età di 76 anni nella sua casa di Montecarlo, dopo una lunga malattia, accudito dall’amata moglie, l’attrice argentina Victoria Zinny.

La sua eredità artistica è fatta di rigore e passione. Nato ad Asmara, in Eritrea, Girone ha vissuto una carriera intensa e poliedrica, tra cinema, teatro e televisione. Debuttò sulle scene con Ennio D’Amato e Orazio Costa, lavorando in Zio Vanja di Čechov diretto da Peter Stein, spettacolo premiato anche al Festival di Edimburgo del 1996. Al cinema, fu Marco Bellocchio a lanciarlo nel 1977 con Il gabbiano, tratto dall’opera di Čechov, dopo l’esordio in L’Anticristo di Alberto De Martino (1974). Nel 1979 Pasquale Squitieri lo volle in Corleone nel ruolo del ragioniere Biagio Lo Cascio.

Molti i ruoli di prestigio nel cinema internazionale: fu Enzo Ferrari in Le Mans ’66 – La grande sfida (2019) di James Mangold, accanto a Matt Damon e Christian Bale, e recitò con Denzel Washington in The Equalizer 3 (2023).

Ma è con il personaggio di Tano Cariddi che conquistò per sempre il grande pubblico: un’interpretazione magistrale che trasformò il mafioso corrotto in un individuo complesso e contraddittorio, divenendo lo specchio oscuro del commissario Cattani interpretato da Michele Placido. Una prova attoriale rimasta nella storia della televisione italiana.

Proprio Placido lo ha ricordato con affetto: «Prima de “La Piovra” avevamo recitato insieme in “Metti una sera a cena” di Peppino Patroni Griffi, accanto a Florinda Bolkan e Fabrizio Bentivoglio. Remo avrebbe meritato di più dal cinema italiano. Qualche tempo fa l’ho chiamato per proporgli un ruolo nella miniserie Rai sul magistrato Giuseppe Livatino, ma non ha fatto in tempo».

«Il grande pubblico lo avrebbe amato anche per come era davvero nella vita – ha concluso Placido – un uomo dal cuore d’oro».

A proposito di miti indelebili che hanno segnato la storia del cinema, lo scrittore e critico Dario Salvatori ha dedicato un volume a James Dean, morto a soli 24 anni in un incidente stradale: James Dean. Vita e passioni di un mito. Un libro che ripercorre la parabola breve e fulminante di un attore diventato simbolo di una generazione sfrontata, inquieta e senza limiti.

Negli anni Cinquanta, lanciato giovanissimo dall’Actor’s Studio di Lee Strasberg a New York, Dean fu scritturato in esclusiva dalla Warner Bros, diventando il protagonista di tre film destinati a entrare nella leggenda: La valle dell’Eden di Elia KazanGioventù bruciata di Nicholas Ray e Il gigante di George Stevens, al fianco di Elizabeth Taylor e Rock Hudson. Tre interpretazioni che lo consacrarono come il nuovo Marlon Brando.

Il 30 settembre 1955, proprio mentre stava girando le ultime scene de Il gigante, la sua vita si interruppe tragicamente a causa di un incidente a bordo della sua Porsche Carrera. Sono passati settant’anni, eppure il suo mito resta intatto: la sua immagine continua ad affascinare generazioni di spettatori, simbolo di ribellione, fragilità e anticonformismo.

Indimenticabile anche la sua storia d’amore con l’attrice italiana Anna Maria Pierangeli, e la fama di star ribelle, insofferente alle regole imposte dai registi e dai produttori di Hollywood, insofferente ai recinti dorati delle Major. James Dean, con la sua breve ma intensa parabola, ha costruito un mito che resiste nell’epoca del digitale e dell’intelligenza artificiale, pronta persino a riportarlo sullo schermo a velocità vertiginosa.

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